Nel testo, attraverso i progetti di Gabetti e Isola, si tratta di un disegno che non si può insegnare, che non ha leggi o regole precostituite, ma che l’architetto elabora attraverso il difficile esercizio della composizione architettonica nel corso della propria personale esperienza, sintesi di un percorso espressivo che diventa stile. Un disegno che non si può insegnare se non progettando, scoprendo giorno per giorno la corrispondenza e la distanza tra il gesto e l’azione, tra il segno e lo spazio, tra apparenza e realtà. Come avviene osservando i disegni di Gabetti e Isola, oggetto principale di queste riflessioni, dove sono visibili evidenti tracce di questo multiforme operare per l’architettura attraverso il progetto. Come avviene osservando il disegno mentre si compie, quando si ricerca la forma girandoci intorno con bizzarri ghirigori, indugiando ai suoi margini, tentando a volte strade inesplorate, ritornando a quelle più note. Osservando le mani intente al disegno non si può non pensare che “l’arte si fa con le mani”, e che esse sono lo “strumento della creazione” e nel contempo “l’organo della conoscenza”, come rilevava Henri Focillon nel bellissimo "Elogio della mano", pubblicato nel 1943 con il fondamentale "Vita delle forme". Ma ciò nondimeno non si può non rilevare che nell’atto del disegnare è compresente il caso, l’incidente, l’imponderabile: quando tutto sembra perduto tutto può essere salvato. Colui che nel disegnare è maestro mette a frutto lo studio e l’abilità maturati negli anni di lavoro e di esperienza, ma li fa coincidere anche, a volte, con il dono del caso. Ai disegni che mostrano con evidenza questa ricerca –spesso disegni di lavoro a matita su carte improvvisate– si accompagnano spesso, nell’archivio di Gabetti e Isola, disegni ad acquerello che, se nel senso comune sembrano rappresentare quella definitiva fase di distacco dalla fase ideativa del progetto che prelude alla costruzione, sono qui invece tutt’altro. Non disegno dimostrativo dunque, teso a mostrare solo ciò che il processo progettuale ha fissato, ma tratteggiato nei colori e nei segni, quasi sospeso, dove l’ombra è colore, ma dove tutto, anche la più definita delle immagini, può essere spazzata via da un semplice colpo di spugna. In questi tempi di realtà virtuale, dove tutto quello che viene disegnato sembra essere pensato più ai fini della sua rappresentazione che della sua effettiva costruzione, questo “carattere tentativo” del disegno sembra richiamare ad un ordine antico, ma denso di significati. Questo disegno inattuale può essere letto, come proponeva Manfredo Tafuri, come traccia delle intenzionalità sottese al progetto. In uno scritto inedito infatti, egli individua nei loro disegni due tecniche diverse, entrambe caratterizzate da una “poetica del lasciar essere”: il contesto, il luogo, il paesaggio, la città. Edifici disegnati al tratto e non radicati nel terreno oppure basati su un recupero del ‘pointillisme’ che sembrano stare sulla soglia del tempo, come se dovessero di lì a un momento svanire. La loro architettura, spesso caratterizzata da continue contaminazioni e ibridazioni, ritrova negli strumenti del suo farsi –i disegni di studio e di definizione progettuale–analoghe sperimentazioni nei supporti e nelle tecniche –ad esempio, lucidi colorati con pastelli e aerografi, cartoni disegnati con chine colorate, modelli tridimensionali in perspex o plexiglàs di diverso colore che diventano a volte una sorta di icona del progetto. Un’analoga sperimentazione presentano le stesse modalità di articolazione del disegno che, oltre alle consuete piante, ricorre ad abachi per esporre le logiche configurative utilizzate nel processo progettuale, a sezioni –prospettiche e non– per indagare le virtualità espresse dal potenziale rapporto tra spazi interni ed esterni, a prospettive aeree per leggere nel paesaggio le possibili trame di un legame duraturo con i luoghi, a vedute di sintesi che intendono quasi ideogrammaticamente fornire un quadro a scala geografica delle relazioni tra le parti. Tutto questo mondo di forme, segni e pensieri–opere costruite e progettate, disegni, ma anche libri, articoli, saggi– non è solo il risultato di una ricerca che ogni volta “rinasce con l’occasione”, ma è anche l’espressione di una magnifica interazione tra logiche di pensiero differenti: da una parte la ricerca storica di Gabetti, dall’altra il procedere ‘en philosophe’, l’ ’école du regard’ di Isola . Ma se gli scritti e i disegni sembrano mettere in luce le differenze tra le loro diverse soggettività, sono le loro opere –le loro architetture– a comporre questa inevitabile dualità in una pratica quotidiana del fare architettura che, giorno per giorno, tenta nuove strade. Tramite questi disegni è possibile forse ripercorrere queste strade, questi sentieri della conoscenza attraverso cinquant’anni di architettura in Italia dal dopoguerra ad oggi.

Gabetti & Isola. Disegni 1951-2000

MASSARENTE, Alessandro
2001

Abstract

Nel testo, attraverso i progetti di Gabetti e Isola, si tratta di un disegno che non si può insegnare, che non ha leggi o regole precostituite, ma che l’architetto elabora attraverso il difficile esercizio della composizione architettonica nel corso della propria personale esperienza, sintesi di un percorso espressivo che diventa stile. Un disegno che non si può insegnare se non progettando, scoprendo giorno per giorno la corrispondenza e la distanza tra il gesto e l’azione, tra il segno e lo spazio, tra apparenza e realtà. Come avviene osservando i disegni di Gabetti e Isola, oggetto principale di queste riflessioni, dove sono visibili evidenti tracce di questo multiforme operare per l’architettura attraverso il progetto. Come avviene osservando il disegno mentre si compie, quando si ricerca la forma girandoci intorno con bizzarri ghirigori, indugiando ai suoi margini, tentando a volte strade inesplorate, ritornando a quelle più note. Osservando le mani intente al disegno non si può non pensare che “l’arte si fa con le mani”, e che esse sono lo “strumento della creazione” e nel contempo “l’organo della conoscenza”, come rilevava Henri Focillon nel bellissimo "Elogio della mano", pubblicato nel 1943 con il fondamentale "Vita delle forme". Ma ciò nondimeno non si può non rilevare che nell’atto del disegnare è compresente il caso, l’incidente, l’imponderabile: quando tutto sembra perduto tutto può essere salvato. Colui che nel disegnare è maestro mette a frutto lo studio e l’abilità maturati negli anni di lavoro e di esperienza, ma li fa coincidere anche, a volte, con il dono del caso. Ai disegni che mostrano con evidenza questa ricerca –spesso disegni di lavoro a matita su carte improvvisate– si accompagnano spesso, nell’archivio di Gabetti e Isola, disegni ad acquerello che, se nel senso comune sembrano rappresentare quella definitiva fase di distacco dalla fase ideativa del progetto che prelude alla costruzione, sono qui invece tutt’altro. Non disegno dimostrativo dunque, teso a mostrare solo ciò che il processo progettuale ha fissato, ma tratteggiato nei colori e nei segni, quasi sospeso, dove l’ombra è colore, ma dove tutto, anche la più definita delle immagini, può essere spazzata via da un semplice colpo di spugna. In questi tempi di realtà virtuale, dove tutto quello che viene disegnato sembra essere pensato più ai fini della sua rappresentazione che della sua effettiva costruzione, questo “carattere tentativo” del disegno sembra richiamare ad un ordine antico, ma denso di significati. Questo disegno inattuale può essere letto, come proponeva Manfredo Tafuri, come traccia delle intenzionalità sottese al progetto. In uno scritto inedito infatti, egli individua nei loro disegni due tecniche diverse, entrambe caratterizzate da una “poetica del lasciar essere”: il contesto, il luogo, il paesaggio, la città. Edifici disegnati al tratto e non radicati nel terreno oppure basati su un recupero del ‘pointillisme’ che sembrano stare sulla soglia del tempo, come se dovessero di lì a un momento svanire. La loro architettura, spesso caratterizzata da continue contaminazioni e ibridazioni, ritrova negli strumenti del suo farsi –i disegni di studio e di definizione progettuale–analoghe sperimentazioni nei supporti e nelle tecniche –ad esempio, lucidi colorati con pastelli e aerografi, cartoni disegnati con chine colorate, modelli tridimensionali in perspex o plexiglàs di diverso colore che diventano a volte una sorta di icona del progetto. Un’analoga sperimentazione presentano le stesse modalità di articolazione del disegno che, oltre alle consuete piante, ricorre ad abachi per esporre le logiche configurative utilizzate nel processo progettuale, a sezioni –prospettiche e non– per indagare le virtualità espresse dal potenziale rapporto tra spazi interni ed esterni, a prospettive aeree per leggere nel paesaggio le possibili trame di un legame duraturo con i luoghi, a vedute di sintesi che intendono quasi ideogrammaticamente fornire un quadro a scala geografica delle relazioni tra le parti. Tutto questo mondo di forme, segni e pensieri–opere costruite e progettate, disegni, ma anche libri, articoli, saggi– non è solo il risultato di una ricerca che ogni volta “rinasce con l’occasione”, ma è anche l’espressione di una magnifica interazione tra logiche di pensiero differenti: da una parte la ricerca storica di Gabetti, dall’altra il procedere ‘en philosophe’, l’ ’école du regard’ di Isola . Ma se gli scritti e i disegni sembrano mettere in luce le differenze tra le loro diverse soggettività, sono le loro opere –le loro architetture– a comporre questa inevitabile dualità in una pratica quotidiana del fare architettura che, giorno per giorno, tenta nuove strade. Tramite questi disegni è possibile forse ripercorrere queste strade, questi sentieri della conoscenza attraverso cinquant’anni di architettura in Italia dal dopoguerra ad oggi.
2001
8871792890
disegno; ricerca; metodo; progetto; cultura politecnica
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1190080
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact