Il pluralismo religioso, in Italia come altrove, si fa sempre più accentuato. Il sorgere e l'accrescersi di nuove rivendicazioni religiose di matrice collettiva spostano l'asse della mediazione tra religione e potere dal livello "politico" a quello "giurisprudenziale". Questo passaggio affianca la trasformazione di molte società occidentali, che da religiosamente o almeno culturalmente omogenee diventano multiculturali. Per sue caratteristiche strutturali, il giudice sembra poter naturalmente incarnare il nuovo ruolo di mediatore tra diverse identità collettive cui lo Stato è chiamato. Ciò avviene a prescindere dal fatto che ci si trovi in sistemi di tipo paraconcordatario, come il nostro, ovvero tendenzialmente separatisti, come quello francese. In quest'ultimo, ad esempio, le note vicende del velo islamico indossato dalle alunne musulmane hanno reso evidente come il livello giurisdizionale sia in grado di de-politicizzare il conflitto e rendere praticabile una mediazione tra diverse componenti identitarie della società. Dal punto di vista dell'ordinamento italiano, d'altro canto, l'approvazione di leggi speciali ma dal contenuto pressoché identico, negoziate esclusivamente con confessioni religiose tradizionali e "non eterodosse", dimostra chiaramente la difficoltà del potere politico di risolvere, con il rigido strumento della legislazione, singoli conflitti interculturali laddove essi realmente si pongono. Dimostrata, in questo modo, la correttezza della scelta metodologica di affrontare il tema del pluralismo religioso privilegiando il punto di vista del giudice e ricorrendo alla comparazione, la ricerca vaglia, alla luce di una dettagliata casistica giurisprudenziale, il dibattito di matrice nordamericana tra sostenitori di un modello comunitario ovvero liberale di comunità politica. Si evidenzia, così, l'inevitabile coinvolgimento del giudice nell'opera di integrazione dei singoli e dei gruppi, fino a poter cogliere le peculiarità delle tecniche giudiziarie d'integrazione e gli spazi di manovra dell'intervento giudiziario. I diversi approcci del giudice rispetto all'integrazione perseguita dal potere politico-amministrativo, in particolare, sono rispecchiati dalla scelta - cruciale per l'esito di ogni giudizio - della parte su cui addossare maggiormente "l'onere della giustificazione" delle proprie pretese. In altre parole, la valutazione del modello d'integrazione interagisce con quella della libertà religiosa, per cui se il giudice ritiene insostenibile un modello o una misura puntuale d'integrazione (il crocifisso nei luoghi pubblici o il bando del velo islamico dalla scuola, ad esempio), egli sarà poco rigoroso nel valutare il dato della violazione della libertà dei soggetti coinvolti, e viceversa. Il modello che viene formulato nella parte ricostruttiva del libro affida alla giurisprudenza un ruolo "correttivo" dei limiti tipici delle forme di riconoscimento "politiche" dei gruppi religiosi minoritari. Mentre il potere politico indugia sul riconoscimento di intere "identità collettive", col rischio di strumentalizzare i difetti di una parte per farli ricadere sul tutto, il potere giurisdizionale si trova normalmente dinanzi a singole pretese identitarie, rispetto alle quali risulta più agevole il confronto con esigenze analoghe già riconosciute nei confronti di altri soggetti, specialmente della confessione dominante. Al giudice, in altre parole, il compito di decostruire su più "livelli di riconoscimento" le identità comunitarie che si affacciano sulla scena e di vagliare se l'esclusione di alcune tra queste sia effettivamente dettata da valori fondamentali comuni rispecchiati dall'ordinamento, piuttosto che da idiosincrasie del resto della società, ovvero dall'opposizione dei gruppi sociali che già occupano i più elevati livelli di riconoscimento giuridico (oltre che sociale e politico). È attraverso la cartina di tornasole della casistica giurisprudenziale, del resto, che si chiarisce come molte "sfere di riconoscimento", per poter reggere alle spinte del pluralismo religioso, devono essere rimodellate nella loro struttura, anche a scapito di privilegi e deroghe già concessi ai soggetti tradizionali.
Giudici e minoranze religiose
GUAZZAROTTI, Andrea
2001
Abstract
Il pluralismo religioso, in Italia come altrove, si fa sempre più accentuato. Il sorgere e l'accrescersi di nuove rivendicazioni religiose di matrice collettiva spostano l'asse della mediazione tra religione e potere dal livello "politico" a quello "giurisprudenziale". Questo passaggio affianca la trasformazione di molte società occidentali, che da religiosamente o almeno culturalmente omogenee diventano multiculturali. Per sue caratteristiche strutturali, il giudice sembra poter naturalmente incarnare il nuovo ruolo di mediatore tra diverse identità collettive cui lo Stato è chiamato. Ciò avviene a prescindere dal fatto che ci si trovi in sistemi di tipo paraconcordatario, come il nostro, ovvero tendenzialmente separatisti, come quello francese. In quest'ultimo, ad esempio, le note vicende del velo islamico indossato dalle alunne musulmane hanno reso evidente come il livello giurisdizionale sia in grado di de-politicizzare il conflitto e rendere praticabile una mediazione tra diverse componenti identitarie della società. Dal punto di vista dell'ordinamento italiano, d'altro canto, l'approvazione di leggi speciali ma dal contenuto pressoché identico, negoziate esclusivamente con confessioni religiose tradizionali e "non eterodosse", dimostra chiaramente la difficoltà del potere politico di risolvere, con il rigido strumento della legislazione, singoli conflitti interculturali laddove essi realmente si pongono. Dimostrata, in questo modo, la correttezza della scelta metodologica di affrontare il tema del pluralismo religioso privilegiando il punto di vista del giudice e ricorrendo alla comparazione, la ricerca vaglia, alla luce di una dettagliata casistica giurisprudenziale, il dibattito di matrice nordamericana tra sostenitori di un modello comunitario ovvero liberale di comunità politica. Si evidenzia, così, l'inevitabile coinvolgimento del giudice nell'opera di integrazione dei singoli e dei gruppi, fino a poter cogliere le peculiarità delle tecniche giudiziarie d'integrazione e gli spazi di manovra dell'intervento giudiziario. I diversi approcci del giudice rispetto all'integrazione perseguita dal potere politico-amministrativo, in particolare, sono rispecchiati dalla scelta - cruciale per l'esito di ogni giudizio - della parte su cui addossare maggiormente "l'onere della giustificazione" delle proprie pretese. In altre parole, la valutazione del modello d'integrazione interagisce con quella della libertà religiosa, per cui se il giudice ritiene insostenibile un modello o una misura puntuale d'integrazione (il crocifisso nei luoghi pubblici o il bando del velo islamico dalla scuola, ad esempio), egli sarà poco rigoroso nel valutare il dato della violazione della libertà dei soggetti coinvolti, e viceversa. Il modello che viene formulato nella parte ricostruttiva del libro affida alla giurisprudenza un ruolo "correttivo" dei limiti tipici delle forme di riconoscimento "politiche" dei gruppi religiosi minoritari. Mentre il potere politico indugia sul riconoscimento di intere "identità collettive", col rischio di strumentalizzare i difetti di una parte per farli ricadere sul tutto, il potere giurisdizionale si trova normalmente dinanzi a singole pretese identitarie, rispetto alle quali risulta più agevole il confronto con esigenze analoghe già riconosciute nei confronti di altri soggetti, specialmente della confessione dominante. Al giudice, in altre parole, il compito di decostruire su più "livelli di riconoscimento" le identità comunitarie che si affacciano sulla scena e di vagliare se l'esclusione di alcune tra queste sia effettivamente dettata da valori fondamentali comuni rispecchiati dall'ordinamento, piuttosto che da idiosincrasie del resto della società, ovvero dall'opposizione dei gruppi sociali che già occupano i più elevati livelli di riconoscimento giuridico (oltre che sociale e politico). È attraverso la cartina di tornasole della casistica giurisprudenziale, del resto, che si chiarisce come molte "sfere di riconoscimento", per poter reggere alle spinte del pluralismo religioso, devono essere rimodellate nella loro struttura, anche a scapito di privilegi e deroghe già concessi ai soggetti tradizionali.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.