Le malattie da Chlamydie sono conosciute da milioni di anni. Antichi manoscritti cinesi ed egiziani riportano le prime descrizioni di infezioni oculari simili quelle del tracoma dei nostri giorni. La “storia” delle Chlamydie, tuttavia, la si deve far risalire all’inizio del secolo scorso quando nel 1907, a Java, Halberstaedter e Von Prowatzek descrivono “vacuoli intracitoplasmatici” contenenti particelle di minuscole (corpi elementari) e grandi (corpi reticolari) dimensioni, colorabili al Giemsa, all’interno di cellule epiteliali congiuntivali di scimmia, dopo l’inoculo di materiale oculare proveniente da soggetti tracomatosi. Qualche anno più tardi, in seguito ad un’epidemia di polmonite atipica, Levinthal Coles e contemporaneamente Lillie, osservano “piccole particelle basofile” (Levinthal-Coles-Lillie bodies) assai simili a quelle descritte da Halberstaedter e Prowatzek, in campioni tissutali ed ematici di uccelli infetti e di soggetti con polmonite ed a cui diedero il nome di psittacine. Nasce il termine di “psittacosi”. In quegli stessi anni, l’oftalmologo Thygeson, sulla scorta delle rassomiglianze antigeniche tra le inclusioni osservate nel tracoma e nella psittacosi, suggerisce che anche il linfogranuloma venereo (LGV) è attribuibile a tali particelle. Nel 1945 compare in letteratura il termine Chlamydia (dal greco, χλαμυ, mantello) ma la sua esatta definizione morfologica e collocazione tassonomica è ancora lungi dall’essere stabilita. La chlamydia è un virus o deve essere considerata appartenente alle rickettsie o ad altre specie? Bedson infatti, in una review sulla diagnostica dei virus del 1947, definisce l’agente del tracoma "an obligate intracellular parasite with bacterial affinities", e lo denomina “Bedsonia”, un virus che ha un caratteristico cliclo biologico, contraddistinto come quello dell’LGV e della psittacosi, dalla presenza di inclusioni citoplasmatiche colorabili con il Giemsa e con il metodo di Castaneda. Nove anni prima, nel 1938, ricercatori dell’istituto Pasteur di Algeri e studiosi del tracoma, ritenenevano che l’agente responsabile di questa patologia fosse una Rickettsia, la “Rickettsia trachomatis”. Nel 1957 una tappa importante. T'ang e coll. isolano in Cina il “trachoma virus" dal sacco vitellino di uova embrionate; l’importante scoperta è pubblicata nel “Chinese Medical Journal”. Le Chlamydie vengono considerate virus fino ai primi degli anni ’60. Che queste non fossero virus diviene però evidente nel 1965 con l’avvento delle colture tissutali e della microscopia elettronica, e con l’individuazione delle strutture cellulari e dell’rRNA batterico ribosomiale. Le Chlamydie sono però ancora raggrupate sotto Rickettsiae fino a quando, nel 1966, viene validato il genere Chlamydia. I successivi decenni sono costellati da una serie di scoperte assai importanti e determinanti per la comprensione degli eventi che stanno alla base delle patologie sostenute da questi patogeni. Viene definito il meccanismo biochimico e molecolare che sottende l’entrata di Chlamydia nella cellula ospite, si tracciano le tappe dell’endocitosi e si studia il significato della “Persistenza Clinica” caratteristica di questi microrganismi e le implicazioni che ne derivano. L’apporto delle conoscenze molecolari è tale che vengono poste le basi per una nuova tassonomia dell’ordine Chlamydiales; ai due generi appartenenti alla famiglia delle Chlamydiaceae, Chlamydia e Chlamydophila, si aggiungono le Parachlamydiaceae, le Waddliaceae e le Simkaniaceae. Recentemente, è stato riconosciuto a Chlamydia anche un ruolo di modulatore dell’apoptosi. A partire dagli anni ’90 per la vasta gamma delle patologie sostenute da tale microrganismo e l’introduzione di nuovi e sofisticati metodi diagnostici, le Chlamydie vengono definite “Emerging Disease Agents”.

Le infezioni da Chlamydia: Attualità e Prospettive.

CONTINI, Carlo
2006

Abstract

Le malattie da Chlamydie sono conosciute da milioni di anni. Antichi manoscritti cinesi ed egiziani riportano le prime descrizioni di infezioni oculari simili quelle del tracoma dei nostri giorni. La “storia” delle Chlamydie, tuttavia, la si deve far risalire all’inizio del secolo scorso quando nel 1907, a Java, Halberstaedter e Von Prowatzek descrivono “vacuoli intracitoplasmatici” contenenti particelle di minuscole (corpi elementari) e grandi (corpi reticolari) dimensioni, colorabili al Giemsa, all’interno di cellule epiteliali congiuntivali di scimmia, dopo l’inoculo di materiale oculare proveniente da soggetti tracomatosi. Qualche anno più tardi, in seguito ad un’epidemia di polmonite atipica, Levinthal Coles e contemporaneamente Lillie, osservano “piccole particelle basofile” (Levinthal-Coles-Lillie bodies) assai simili a quelle descritte da Halberstaedter e Prowatzek, in campioni tissutali ed ematici di uccelli infetti e di soggetti con polmonite ed a cui diedero il nome di psittacine. Nasce il termine di “psittacosi”. In quegli stessi anni, l’oftalmologo Thygeson, sulla scorta delle rassomiglianze antigeniche tra le inclusioni osservate nel tracoma e nella psittacosi, suggerisce che anche il linfogranuloma venereo (LGV) è attribuibile a tali particelle. Nel 1945 compare in letteratura il termine Chlamydia (dal greco, χλαμυ, mantello) ma la sua esatta definizione morfologica e collocazione tassonomica è ancora lungi dall’essere stabilita. La chlamydia è un virus o deve essere considerata appartenente alle rickettsie o ad altre specie? Bedson infatti, in una review sulla diagnostica dei virus del 1947, definisce l’agente del tracoma "an obligate intracellular parasite with bacterial affinities", e lo denomina “Bedsonia”, un virus che ha un caratteristico cliclo biologico, contraddistinto come quello dell’LGV e della psittacosi, dalla presenza di inclusioni citoplasmatiche colorabili con il Giemsa e con il metodo di Castaneda. Nove anni prima, nel 1938, ricercatori dell’istituto Pasteur di Algeri e studiosi del tracoma, ritenenevano che l’agente responsabile di questa patologia fosse una Rickettsia, la “Rickettsia trachomatis”. Nel 1957 una tappa importante. T'ang e coll. isolano in Cina il “trachoma virus" dal sacco vitellino di uova embrionate; l’importante scoperta è pubblicata nel “Chinese Medical Journal”. Le Chlamydie vengono considerate virus fino ai primi degli anni ’60. Che queste non fossero virus diviene però evidente nel 1965 con l’avvento delle colture tissutali e della microscopia elettronica, e con l’individuazione delle strutture cellulari e dell’rRNA batterico ribosomiale. Le Chlamydie sono però ancora raggrupate sotto Rickettsiae fino a quando, nel 1966, viene validato il genere Chlamydia. I successivi decenni sono costellati da una serie di scoperte assai importanti e determinanti per la comprensione degli eventi che stanno alla base delle patologie sostenute da questi patogeni. Viene definito il meccanismo biochimico e molecolare che sottende l’entrata di Chlamydia nella cellula ospite, si tracciano le tappe dell’endocitosi e si studia il significato della “Persistenza Clinica” caratteristica di questi microrganismi e le implicazioni che ne derivano. L’apporto delle conoscenze molecolari è tale che vengono poste le basi per una nuova tassonomia dell’ordine Chlamydiales; ai due generi appartenenti alla famiglia delle Chlamydiaceae, Chlamydia e Chlamydophila, si aggiungono le Parachlamydiaceae, le Waddliaceae e le Simkaniaceae. Recentemente, è stato riconosciuto a Chlamydia anche un ruolo di modulatore dell’apoptosi. A partire dagli anni ’90 per la vasta gamma delle patologie sostenute da tale microrganismo e l’introduzione di nuovi e sofisticati metodi diagnostici, le Chlamydie vengono definite “Emerging Disease Agents”.
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