La nozione di capitale intellettuale è un’espressione coniata nell’ambito degli studi sull’economia della conoscenza, un filone di studi economici che s’interessa alla misura del valore delle attività educative, creative, d’invenzione nell’ambito delle attività produttive umane. Quello di capitale intellettuale è un concetto di riferimento per capire e valutare le aziende che basano la realizzazione del prodotto/servizio su fattori intangibili di conoscenza e sapere professionale. Le premesse per questa mutazione sono nell’avvento di un’economia basata su nuove abilità di comunicazione e scambio, cui normalmente ci si riferisce come mercato della conoscenza, rappresentando la base della cosiddetta new economy. Nel corso degli ultimi anni il tema del Capitale Intellettuale (CI) ha visto aumentare la sua rilevanza negli studi economico-manageriali in Italia e all’estero. In particolare, il quadro teorico del CI è stato sempre più utilizzato per spiegare l’origine e la dimensione della performance aziendale (Edvinsson, 1997; Guthrie, Petty, 2000; Johansen et al., 1999; Stewart, 1997; Sveiby, 1997). La ormai comprovata insufficienza dei tradizionali sistemi di controllo nell’individuare gli interi elementi che compongono, nel complesso, la performance di un’azienda ha dato spazio, in ambito accademico, allo sviluppo di studi inerenti la possibilità di individuare, rappresentare e misurare la dimensione del CI in appositi report (Edvinsson et al., 2000; Klein, Prusak, 1994; Larsen et al., 1999; Lev, 1999, Mouritsen, 1998). La capacità di successo di un’organizzazione dipende, sempre più, dalla capacità del management di focalizzarsi su nuovi fattori critici di successo per il raggiungimento e mantenimento del vantaggio competitivo, ovvero sulle relazioni con i clienti/utenti, con il personale, con i partner, nonché sulla capacità di apprendere ed innovare; tutte variabili queste sono riconducibili al capitale intellettuale. Dalla letteratura emergono differenti approcci allo studio sul CI, con particolare riferimento agli obiettivi che i diversi studiosi si pongono. Una parte della letteratura individua quale obiettivo primo nell’indagine del CI la sua valorizzazione in termini economico-finanziari (Lev, 1999) anche al fine di evidenziare l’effetto dei fattori intangibili, implicitamente racchiusi nei bilanci, sulle quotazioni nei mercati mobiliari. Tale approccio, cosiddetto rivolto all’esterno, ha avuto quale principale oggetto di studio le imprese. Un altro filone di studi identifica l’obiettivo principale dell’indagine del capitale intellettuale nell’esigenza, interna all’azienda, di identificare i fattori intangibili che ne determinano i processi, i livelli di efficienza e di efficacia, il diverso grado di raggiungimento di obiettivi, al fine di poterli orientare verso la massimizzazione della performance generale dell’azienda. Pertanto, tali studiosi sono più orientati a identificare quali siano gli elementi che formano il CI e quali possano essere le loro possibili rappresentazioni (Guthrie, Petty, 2000; Johansen et al., 1999; Mouritsen, 1998; Stewart, 1997; Sveiby, 1998), al fine di poter utilizzare tale informazioni nel processo di decisione e di orientamento strategico. Nonostante negli anni in letteratura si siano sedimentati diversi approcci di studio e rappresentazione, è ampiamente condivisa la rappresentazione del CI che prevede le seguenti categorie di elementi (Edvinsson, 1997; Edvinsson, Malone, 1997; Roos et al., 1997; Stewart, 1997; Sveiby, 1997): Capitale esterno; Capitale interno; Capitale umano. Le tre categorie appena menzionate sono in grado di catturare elementi quali l’innovazione, la conoscenza, la qualità, le capacità operative, le potenzialità dei dipendenti ed ancora la cultura organizzativa, ecc. La rappresentazione del Ci secondo la tripartizione sopra richiamata è stata ampiamente sperimentata nel mondo delle imprese, ambito questo nel quale è possibile trovare numerosi studi sul CI, sia di tipo teorico che di tipo empirico basati su analisi di casi e su indagini. L’analisi della letteratura internazionale ha evidenziato che il modello del CI è scarsamente applicato alle aziende pubbliche sia dal punto di vista teorico-concettuale, sia per la scarsità degli studi empirici (esistono tuttavia delle applicazioni, ormai durature, quale quella delle Università austriache, o di alcune autonomie locali scandinave). Alle aziende sanitarie pubbliche è richiesto di perseguire gli obiettivi nel rispetto dei principi aziendali di efficienza, efficacia e di economicità. I risultati ottenibili dalle aziende sanitarie in termini di qualità delle cure, volume delle prestazioni, capacità di attrarre pazienti, immagine esterna, ecc., possono differenziarsi notevolmente da azienda ad azienda, anche a parità di risorse impiegate. Inoltre, il modello di quasi - mercato che caratterizza il settore sanitario italiano, così come quelli di molti altri Paesi OCSE, sta portando i Direttori Generali delle aziende a gestire le variabili atte a generare un vantaggio competitivo sostenibile, e tra queste si annoverano le variabili determinanti il CI. In accordo con quanto affermato da Ross et al. (1997) il capitale intellettuale potrebbe risultare un utile elemento, secondo un approccio strategico, per la creazione e gestione della conoscenza per aumentare il valore dell’azienda. Al fine di perseguire tale obiettivo si ritiene indispensabile che i manager conoscano, e quindi sappiano individuare, gli elementi del CI. Pertanto la rappresentazione, attraverso misure e narrazioni, costituisce il primo passaggio per poi poter orientare e gestire i fattori intangibili.

Il C.I. nelle aziende sanitarie: analisi della letteratura

VAGNONI, Emidia
2007

Abstract

La nozione di capitale intellettuale è un’espressione coniata nell’ambito degli studi sull’economia della conoscenza, un filone di studi economici che s’interessa alla misura del valore delle attività educative, creative, d’invenzione nell’ambito delle attività produttive umane. Quello di capitale intellettuale è un concetto di riferimento per capire e valutare le aziende che basano la realizzazione del prodotto/servizio su fattori intangibili di conoscenza e sapere professionale. Le premesse per questa mutazione sono nell’avvento di un’economia basata su nuove abilità di comunicazione e scambio, cui normalmente ci si riferisce come mercato della conoscenza, rappresentando la base della cosiddetta new economy. Nel corso degli ultimi anni il tema del Capitale Intellettuale (CI) ha visto aumentare la sua rilevanza negli studi economico-manageriali in Italia e all’estero. In particolare, il quadro teorico del CI è stato sempre più utilizzato per spiegare l’origine e la dimensione della performance aziendale (Edvinsson, 1997; Guthrie, Petty, 2000; Johansen et al., 1999; Stewart, 1997; Sveiby, 1997). La ormai comprovata insufficienza dei tradizionali sistemi di controllo nell’individuare gli interi elementi che compongono, nel complesso, la performance di un’azienda ha dato spazio, in ambito accademico, allo sviluppo di studi inerenti la possibilità di individuare, rappresentare e misurare la dimensione del CI in appositi report (Edvinsson et al., 2000; Klein, Prusak, 1994; Larsen et al., 1999; Lev, 1999, Mouritsen, 1998). La capacità di successo di un’organizzazione dipende, sempre più, dalla capacità del management di focalizzarsi su nuovi fattori critici di successo per il raggiungimento e mantenimento del vantaggio competitivo, ovvero sulle relazioni con i clienti/utenti, con il personale, con i partner, nonché sulla capacità di apprendere ed innovare; tutte variabili queste sono riconducibili al capitale intellettuale. Dalla letteratura emergono differenti approcci allo studio sul CI, con particolare riferimento agli obiettivi che i diversi studiosi si pongono. Una parte della letteratura individua quale obiettivo primo nell’indagine del CI la sua valorizzazione in termini economico-finanziari (Lev, 1999) anche al fine di evidenziare l’effetto dei fattori intangibili, implicitamente racchiusi nei bilanci, sulle quotazioni nei mercati mobiliari. Tale approccio, cosiddetto rivolto all’esterno, ha avuto quale principale oggetto di studio le imprese. Un altro filone di studi identifica l’obiettivo principale dell’indagine del capitale intellettuale nell’esigenza, interna all’azienda, di identificare i fattori intangibili che ne determinano i processi, i livelli di efficienza e di efficacia, il diverso grado di raggiungimento di obiettivi, al fine di poterli orientare verso la massimizzazione della performance generale dell’azienda. Pertanto, tali studiosi sono più orientati a identificare quali siano gli elementi che formano il CI e quali possano essere le loro possibili rappresentazioni (Guthrie, Petty, 2000; Johansen et al., 1999; Mouritsen, 1998; Stewart, 1997; Sveiby, 1998), al fine di poter utilizzare tale informazioni nel processo di decisione e di orientamento strategico. Nonostante negli anni in letteratura si siano sedimentati diversi approcci di studio e rappresentazione, è ampiamente condivisa la rappresentazione del CI che prevede le seguenti categorie di elementi (Edvinsson, 1997; Edvinsson, Malone, 1997; Roos et al., 1997; Stewart, 1997; Sveiby, 1997): Capitale esterno; Capitale interno; Capitale umano. Le tre categorie appena menzionate sono in grado di catturare elementi quali l’innovazione, la conoscenza, la qualità, le capacità operative, le potenzialità dei dipendenti ed ancora la cultura organizzativa, ecc. La rappresentazione del Ci secondo la tripartizione sopra richiamata è stata ampiamente sperimentata nel mondo delle imprese, ambito questo nel quale è possibile trovare numerosi studi sul CI, sia di tipo teorico che di tipo empirico basati su analisi di casi e su indagini. L’analisi della letteratura internazionale ha evidenziato che il modello del CI è scarsamente applicato alle aziende pubbliche sia dal punto di vista teorico-concettuale, sia per la scarsità degli studi empirici (esistono tuttavia delle applicazioni, ormai durature, quale quella delle Università austriache, o di alcune autonomie locali scandinave). Alle aziende sanitarie pubbliche è richiesto di perseguire gli obiettivi nel rispetto dei principi aziendali di efficienza, efficacia e di economicità. I risultati ottenibili dalle aziende sanitarie in termini di qualità delle cure, volume delle prestazioni, capacità di attrarre pazienti, immagine esterna, ecc., possono differenziarsi notevolmente da azienda ad azienda, anche a parità di risorse impiegate. Inoltre, il modello di quasi - mercato che caratterizza il settore sanitario italiano, così come quelli di molti altri Paesi OCSE, sta portando i Direttori Generali delle aziende a gestire le variabili atte a generare un vantaggio competitivo sostenibile, e tra queste si annoverano le variabili determinanti il CI. In accordo con quanto affermato da Ross et al. (1997) il capitale intellettuale potrebbe risultare un utile elemento, secondo un approccio strategico, per la creazione e gestione della conoscenza per aumentare il valore dell’azienda. Al fine di perseguire tale obiettivo si ritiene indispensabile che i manager conoscano, e quindi sappiano individuare, gli elementi del CI. Pertanto la rappresentazione, attraverso misure e narrazioni, costituisce il primo passaggio per poi poter orientare e gestire i fattori intangibili.
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