L'analisi delle corrispondenze sistematiche riscontrate tra atti linguistici e forme grammaticali nei dialetti veneti ha evidenziato una serie di contraddizioni nella categorizzazione di uno stesso indicatore di forza di domanda, la cosiddetta coniugazione interrogativa propria di alcuni dialetti veneti e settentrionali in genere. Questa peculiare caratterizzazione morfologica del verbo, derivata diacronicamente per enclisi dei pronomi soggetto postposti, testimonia l'avvenuto passaggio da una strategia che inizialmente sfruttava modificazioni dell'ordine degli elementi per segnalare atti di domanda ad una strategia che sfrutta variazioni nella forma flessiva del verbo. Per queste forme si è parlato appunto di coniugazione interrogativa (NOTA 3), e, talora, anche di modo interrogativo (NOTA 4) sottolineando, con il primo termine, 'coniugazione' (o anche 'modo'), l'unità creatasi tra la forma verbale e quella pronominale e, con il secondo termine, 'interrogativa', la relazione tra il particolare tipo morfologico e l'atto di 'interrogazione'. Ne consegue che i pronomi in questione appartengono ormai, su un piano descrittivo sincronico, alla forma verbale nel suo complesso e sono diventati degli 'affissi'. Tuttavia, la relativa "trasparenza" nella formazione della coniugazione interrogativa da forme pronominali clitiche spiega la frequenza con la quale si tratta soprattutto nella letteratura del '900, di tali forme come dei veri e propri pronomi interrogativi, cioè come se costituissero una unità di 'clitico', se non proprio di 'parola'. Questa oscillazione e contradditorietà nella categorizzazione di uno stesso indicatore di forza, tra coniugazione, modo e clitico, non riflette soltanto un problema terminologico, ma è importante per un duplice ordine di problemi. In primo luogo, la mancata distinzione tra clitico e affisso investe il problema dell'individuazione della 'parola', nozione quest'ultima che riveste importanza non soltanto all'interno di una concezione tradizionale, dove è generalmente trattata come un primitivo inanalizzato, ma anche all'interno di una concezione formale dei livelli di rappresentazione, in cui si è a lungo dibattuto della sua possibile delimitazione e dei sui possibili ambiti. In secondo luogo, il controllo dell'appropriatezza dell'attribuzione di un 'modo interrogativo' per alcuni dialetti veneti impone una serie di considerazioni sulla controversa relazione tra modo, indicatori di forza e modalità: sul piano della forma, infatti, nell'individuazione dei modi intervengono considerazioni sulle unità di 'parola' (tradizionalmente, i modi hanno tratti flessivi) e sul piano del contenuto alcune distinzioni su modo e modalità sono state tracciate anche in relazione alla teoria degli atti linguistici. Dell'esistenza di un modo interrogativo si è recentemente dibattuto a lungo nella teoria grammaticale. Se da un lato questo sembra confermato da ricerche recenti sulla relazione tra morfologia verbale e indicatori di forza di domanda, che peraltro hanno evidenziato una tipologia limitata prevalentemente a lingue indiane d'America, d'altro lato l'inesistenza di analoghi riscontri nelle lingue di derivazione indoeuropea (almeno tra le più note, insieme con la vaghezza e la diversità di accezioni con cui nella letteratura si è parlato di modi, ha fatto sostenere che in nessuna delle lingue con cui la grammatica tradizionale ha avuto a che fare, e possibilmente in nessuna delle lingue attestate, c'è un modo distinto per le interrogative, che sta nella stessa relazione alle domande come il modo imperativo agli ordini. Nel controllo dell'appropriatezza dell'attribuzione di un 'modo interrogativo' per alcuni dialetti veneti l'eterogeneità dei criteri, espliciti od impliciti, che si danno nel trattare la relazione tra modo, indicatori di forza e modalità, impone la chiarificazione di aspetti relativi sia alla forma grammaticale sia al contenuto.

Sulla pertinenza della pragmatica nell'analisi grammaticale: un esempio della cosiddetta coniugazione interrogativa nel dialetto alto-vicentino

FAVA, Elisabetta
1993

Abstract

L'analisi delle corrispondenze sistematiche riscontrate tra atti linguistici e forme grammaticali nei dialetti veneti ha evidenziato una serie di contraddizioni nella categorizzazione di uno stesso indicatore di forza di domanda, la cosiddetta coniugazione interrogativa propria di alcuni dialetti veneti e settentrionali in genere. Questa peculiare caratterizzazione morfologica del verbo, derivata diacronicamente per enclisi dei pronomi soggetto postposti, testimonia l'avvenuto passaggio da una strategia che inizialmente sfruttava modificazioni dell'ordine degli elementi per segnalare atti di domanda ad una strategia che sfrutta variazioni nella forma flessiva del verbo. Per queste forme si è parlato appunto di coniugazione interrogativa (NOTA 3), e, talora, anche di modo interrogativo (NOTA 4) sottolineando, con il primo termine, 'coniugazione' (o anche 'modo'), l'unità creatasi tra la forma verbale e quella pronominale e, con il secondo termine, 'interrogativa', la relazione tra il particolare tipo morfologico e l'atto di 'interrogazione'. Ne consegue che i pronomi in questione appartengono ormai, su un piano descrittivo sincronico, alla forma verbale nel suo complesso e sono diventati degli 'affissi'. Tuttavia, la relativa "trasparenza" nella formazione della coniugazione interrogativa da forme pronominali clitiche spiega la frequenza con la quale si tratta soprattutto nella letteratura del '900, di tali forme come dei veri e propri pronomi interrogativi, cioè come se costituissero una unità di 'clitico', se non proprio di 'parola'. Questa oscillazione e contradditorietà nella categorizzazione di uno stesso indicatore di forza, tra coniugazione, modo e clitico, non riflette soltanto un problema terminologico, ma è importante per un duplice ordine di problemi. In primo luogo, la mancata distinzione tra clitico e affisso investe il problema dell'individuazione della 'parola', nozione quest'ultima che riveste importanza non soltanto all'interno di una concezione tradizionale, dove è generalmente trattata come un primitivo inanalizzato, ma anche all'interno di una concezione formale dei livelli di rappresentazione, in cui si è a lungo dibattuto della sua possibile delimitazione e dei sui possibili ambiti. In secondo luogo, il controllo dell'appropriatezza dell'attribuzione di un 'modo interrogativo' per alcuni dialetti veneti impone una serie di considerazioni sulla controversa relazione tra modo, indicatori di forza e modalità: sul piano della forma, infatti, nell'individuazione dei modi intervengono considerazioni sulle unità di 'parola' (tradizionalmente, i modi hanno tratti flessivi) e sul piano del contenuto alcune distinzioni su modo e modalità sono state tracciate anche in relazione alla teoria degli atti linguistici. Dell'esistenza di un modo interrogativo si è recentemente dibattuto a lungo nella teoria grammaticale. Se da un lato questo sembra confermato da ricerche recenti sulla relazione tra morfologia verbale e indicatori di forza di domanda, che peraltro hanno evidenziato una tipologia limitata prevalentemente a lingue indiane d'America, d'altro lato l'inesistenza di analoghi riscontri nelle lingue di derivazione indoeuropea (almeno tra le più note, insieme con la vaghezza e la diversità di accezioni con cui nella letteratura si è parlato di modi, ha fatto sostenere che in nessuna delle lingue con cui la grammatica tradizionale ha avuto a che fare, e possibilmente in nessuna delle lingue attestate, c'è un modo distinto per le interrogative, che sta nella stessa relazione alle domande come il modo imperativo agli ordini. Nel controllo dell'appropriatezza dell'attribuzione di un 'modo interrogativo' per alcuni dialetti veneti l'eterogeneità dei criteri, espliciti od impliciti, che si danno nel trattare la relazione tra modo, indicatori di forza e modalità, impone la chiarificazione di aspetti relativi sia alla forma grammaticale sia al contenuto.
1993
9788871231051
affissazione; cliticizzazione; dialetti italiani settentrionali
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