Il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837), ancora giovanissimo si cimentò con i grandi temi della scienza del suo tempo, dimostrando un abito mentale veramente scientifico. Nel 1811-12 (aveva 12-13 anni) compose le “Dissertazioni filosofiche” sulla fisca del moto, la gravità, l’urto dei corpi, l’estensione, l’idrodinamica, i fluidi elastici, la luce, l’astronomia, l’elettricismo, la storia naturale, altre di psicologia e antropologia. Nel 1813 scrisse la “Storia della astronomia”, opera sorprendente per vastità di erudizione e anche per sintesi critica, se si considera l’età dell’autore. Giacomo, a differenza del padre Monaldo, fu fin dall’adolescenza un copernicano convinto, mentre ancora nel 1820 veniva negato l’imprimatur ad un volume di ottica e di astronomia di Giuseppe Settele, poiché conteneva l’affermazione che la Terra ruota intorno al Sole. Nel 1815 Leopardi scriveva il “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”, storia della scienza antica e della faticosa costruzione della verità sulle rovine degli errori. Interessanti riflessi della conoscenza e dell’habitus scientifico di Giacomo si ritrovano in numerosi passi delle sue posteriori opere letterarie (“Zibaldone”, “Operette morali”,…). In particolare a Copernico è dedicata una delle “Operette morali”. A complicare l’adesione al copernicanesimo di Giacomo si aggiunse, negli ultimi anni della sua vita, la violenta campagna condotta proprio dal padre Monaldo sul periodico da lui diretto “La voce della ragione”: di questa questione assai curiosa si discute essenzialmente in questo articolo, in cui sono esaminate le argomentazioni di Monaldo contro il sistema copernicano. Nonostante il disgusto per le opinioni reazionarie del padre, Giacomo mantenne comunque verso di lui un atteggaimento affettuoso, e lo consolò quanto l’autorità lo costrinse a chiudere il giornale. Scriveva al padre (19 febbraio 1836) che le autorità legittimate dall’alto non amano che si difenda nemmeno la loro causa con parole, poiché ciò equivarrebbe a mettere in dubbio la pienezza del loro diritto, oltreché “preferiscono alle ragioni, a cui, bene o male, si può sempre replicare, gli argomenti del cannone e del cercere duro, ai quali i loro avversari per ora non hanno che rispondere”.

La questione copernicana tra Giacomo e Monaldo Leopardi

BORGATO, Maria Teresa
1998

Abstract

Il poeta Giacomo Leopardi (1798-1837), ancora giovanissimo si cimentò con i grandi temi della scienza del suo tempo, dimostrando un abito mentale veramente scientifico. Nel 1811-12 (aveva 12-13 anni) compose le “Dissertazioni filosofiche” sulla fisca del moto, la gravità, l’urto dei corpi, l’estensione, l’idrodinamica, i fluidi elastici, la luce, l’astronomia, l’elettricismo, la storia naturale, altre di psicologia e antropologia. Nel 1813 scrisse la “Storia della astronomia”, opera sorprendente per vastità di erudizione e anche per sintesi critica, se si considera l’età dell’autore. Giacomo, a differenza del padre Monaldo, fu fin dall’adolescenza un copernicano convinto, mentre ancora nel 1820 veniva negato l’imprimatur ad un volume di ottica e di astronomia di Giuseppe Settele, poiché conteneva l’affermazione che la Terra ruota intorno al Sole. Nel 1815 Leopardi scriveva il “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”, storia della scienza antica e della faticosa costruzione della verità sulle rovine degli errori. Interessanti riflessi della conoscenza e dell’habitus scientifico di Giacomo si ritrovano in numerosi passi delle sue posteriori opere letterarie (“Zibaldone”, “Operette morali”,…). In particolare a Copernico è dedicata una delle “Operette morali”. A complicare l’adesione al copernicanesimo di Giacomo si aggiunse, negli ultimi anni della sua vita, la violenta campagna condotta proprio dal padre Monaldo sul periodico da lui diretto “La voce della ragione”: di questa questione assai curiosa si discute essenzialmente in questo articolo, in cui sono esaminate le argomentazioni di Monaldo contro il sistema copernicano. Nonostante il disgusto per le opinioni reazionarie del padre, Giacomo mantenne comunque verso di lui un atteggaimento affettuoso, e lo consolò quanto l’autorità lo costrinse a chiudere il giornale. Scriveva al padre (19 febbraio 1836) che le autorità legittimate dall’alto non amano che si difenda nemmeno la loro causa con parole, poiché ciò equivarrebbe a mettere in dubbio la pienezza del loro diritto, oltreché “preferiscono alle ragioni, a cui, bene o male, si può sempre replicare, gli argomenti del cannone e del cercere duro, ai quali i loro avversari per ora non hanno che rispondere”.
1998
Borgato, Maria Teresa
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