Comunque vada a finire, la questione greca dimostra una volta di più che la costruzione dell’euro si fonda su troppi errori. Pensare di governare con la moneta unica un’area economica così complessa e nei fatti non omogenea ha determinato una sequenza di atti giuridici e finanziari che si sono dimostrati senza fondamenti economici e pure giuridici. Pensiamo al fiscal compact e alla odiosa norma che istituzionalizza il pareggio di bilancio e la riduzione del debito di un ventesimo della quota che eccede il 60% del PIL. L’impianto del fiscal compact come quello di altri documenti compromette il governo dell’economia europea, e che impedisce di affrontare shock asimmetrici, soprattutto quando non accompagnata da un adeguato bilancio europeo che assolva ai compiti di aggiustamento. L’unica politica economica europea diventa quella delle svalutazioni interne per indurre una crescita trainata dalle esportazioni. La domanda che continuiamo a fare è sempre la stessa: chi importa se tutti esportano in un mercato interno che si restringe a causa delle stesse politiche economiche e che purtuttavia spiega la quota preponderante dei flussi commerciali? La Grecia è vittima della politica europea non tanto e non solo per gli obiettivi di saldo primario che si vogliono imporre, ma per l’uso strumentale che i tecnocrati europei fanno della crisi che la attraversa da oltre 7 anni. Infatti, la Grecia è entrata nell’euro su pressione di Germania, Francia e Italia, nonostante i suoi conti pubblici fossero manifestamente truccati (Romano Prodi, 6 giugno 2015). Allora è prevalsa la ragione politica di inclusione, mentre oggi prevale la ragione politica di esclusione. Dal ricatto economico si è passati a quello politico. Alla fine la Grecia paga non solo tutti gli errori dei tecnocrati, europei e non, ma soprattutto l’assenza di una Europa degli Stati degna di questo nome.

Dalla Grecia all’Europa che verrà per “i magnifici cinque”

PINI, Paolo;
2015

Abstract

Comunque vada a finire, la questione greca dimostra una volta di più che la costruzione dell’euro si fonda su troppi errori. Pensare di governare con la moneta unica un’area economica così complessa e nei fatti non omogenea ha determinato una sequenza di atti giuridici e finanziari che si sono dimostrati senza fondamenti economici e pure giuridici. Pensiamo al fiscal compact e alla odiosa norma che istituzionalizza il pareggio di bilancio e la riduzione del debito di un ventesimo della quota che eccede il 60% del PIL. L’impianto del fiscal compact come quello di altri documenti compromette il governo dell’economia europea, e che impedisce di affrontare shock asimmetrici, soprattutto quando non accompagnata da un adeguato bilancio europeo che assolva ai compiti di aggiustamento. L’unica politica economica europea diventa quella delle svalutazioni interne per indurre una crescita trainata dalle esportazioni. La domanda che continuiamo a fare è sempre la stessa: chi importa se tutti esportano in un mercato interno che si restringe a causa delle stesse politiche economiche e che purtuttavia spiega la quota preponderante dei flussi commerciali? La Grecia è vittima della politica europea non tanto e non solo per gli obiettivi di saldo primario che si vogliono imporre, ma per l’uso strumentale che i tecnocrati europei fanno della crisi che la attraversa da oltre 7 anni. Infatti, la Grecia è entrata nell’euro su pressione di Germania, Francia e Italia, nonostante i suoi conti pubblici fossero manifestamente truccati (Romano Prodi, 6 giugno 2015). Allora è prevalsa la ragione politica di inclusione, mentre oggi prevale la ragione politica di esclusione. Dal ricatto economico si è passati a quello politico. Alla fine la Grecia paga non solo tutti gli errori dei tecnocrati, europei e non, ma soprattutto l’assenza di una Europa degli Stati degna di questo nome.
2015
Pini, Paolo; Romano, Roberto
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