Questo numero monografico degli “Annali on-line della Didattica e della Forma¬zione docente” raccoglie i lavori di due convegni svoltisi su due tematiche distinte, ma tra loro strettamente connesse, perché riconducibili ad una stessa domanda: che cos’è e come si sviluppa la ricerca in ambito storico-educativo. Il primo di questi convegni si è svolto a Ferrara nei giorni 6 e 7 maggio 2013, sotto l’egida del CIRSE, ossia del Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa, mentre il secondo si è tenuto a Pisa nel giugno del 2013, sotto il pa-trocinio della Società di Politica, Educazione e Storia (SPES) per ricordare l’o¬pera di Tina Tomasi, insigne studiosa di Storia della scuola e dell’educazione, già docente alla Facoltà di Magistero dell’ateneo fiorentino, a cento anni dalla sua nascita. Il primo dei due incontri ha avuto come tema una domanda generale e cru¬ciale per gli studi cui mi riferisco, vale a dire “Quale identità per la Storia dell’educazione?”. Nel raccogliere i contributi di entrambe la iniziative, mi è parso opportuno scegliere questa domanda per dare un titolo significativo ed immediatamente comprensibile al numero monografico di questa rivista. Se, infatti, a tutta prima, essa pare riferirsi solo all’incontro ferrarese, di fatto tale domanda ha accompagnato anche le giornate di studio dedicate a Tina Tomasi. Durante queste giornate gli interventi si sono divisi tra una riconsidera¬zione delle opere della Tomasi ed il ricordo della sua attività di insegnante e una riflessione su due aspetti – quello della relazione tra educazione e politica e della centralità del soggetto nella dimensione della storia e della vita civile – cari alla stessa Tomasi e punto nodale in tutta la sua produzione scientifica. Nell’affrontare questi aspetti specifici come nel prendere in esame, a più di vent’anni dalla sua scomparsa, i lavori della studiosa, il centro (implicito, eppure evidente) degli interventi ha finito per vertere sul significato ed il senso della ricerca storico-educativa. Perciò, il presente numero monografico, sebbene diviso in due parti, al fondo, va letto e pensato come un lavoro unitario su un tema complesso – come quello dell’identità della Storia dell’educazione – attraverso una riflessione teo¬rica e la definizione di alcuni ambiti specifici di sua pertinenza (nella prima parte) e, quindi, attraverso l’analisi di alcuni momenti o di alcuni temi partico¬lari, in cui si applica il metodo storiografico descritto, appunto, nella medesima prima parte. La se¬conda parte del presente numero, dunque, va pensata e considerata non come un’appendice della prima parte, bensì, piuttosto, come un suo necessario e le-gittimo complemento. Senza scendere nel merito dei vari interventi e per non togliere al lettore che abbia voglia e tempo di addentrarsi nel percorso teorico-metodologico che que¬ste pagine disegnano, il gusto della scoperta, mi siano tuttavia concesse tre notazioni: una sugli inter¬venti qui riuniti; e due di carattere più generale. Partiamo dalla prima. Ai due incontri hanno partecipato studiosi di varie università, oltre ovvia¬mente a chi scrive ed ai colleghi ferraresi. Ciò ha consentito di costruire un di¬scorso articolato: si tratta di voci che rendono conto dell’attuale stato dell’arte in questo specifico ambito di ricerca e che ne mettono in luce anche le diverse sfaccettature. Ed eccoci alle notazioni più generali e attinenti strettamente al numero che sto presentando. Innanzitutto, chiediamoci perché, visto l’attuale rigoglio della saggistica sto¬rico-educativa ed una crescente apertura dei suoi confini ad ambiti e tematiche solo alcuni decenni fa impensabili per questi studi, il CIRSE e gli organizzatori abbiano ritenuto interessante riproporre la domanda sull’identità di questi studi. Come si evince dagli interventi della prima parte, la diffusione dei lavori pubblicati non corrisponde sempre ad una chiarezza circa i fondamenti episte-mologici o a un rigore metodologico altrettanto condiviso e ben distinguibile da quello della ricerca meramente documentaria o capace di interrogarsi sull’uso ed il significato di strumenti e fonti documentarie legate a forme nuove di comunicazione e di diffusione delle notizie. Lo attestano gli interventi di Bellatalla, Genovesi, Grassi e Todaro. E, come se ciò non bastasse, non man¬cano, come emerge dagli interventi di Barbieri, Callegari e Cantatore, alcuni sotto-settori della ricerca storico-educativa, quali l’Educazione comparata o la Letteratura per l’infanzia, che si configurano non solo in maniera complessa, ma mostrano anche degli spazi di definizione, sia a livello teorico sia a livello di contenuti da indagare, ancora aperti e non sempre facili da cogliere e da distin¬guere rispetto ad approcci ora sociologici ora letterari ora meramente politici. Inoltre, e questo è più evidente nella seconda parte del presente numero, non manca una apertura interdisciplinare. In questo modo la ricerca storico-educa¬tiva può dialogare – e il saggio di Bitossi ne è un esempio chiaro – con la storia generale o, come mostra l’intervento di Catarci, con questioni concrete, che ri¬mandano a problemi d’ordine sociale, ossia a questioni legate alla formazione civile ed alla contemporaneità. Un modo, questo, per sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, che se lo sto¬rico, in generale, e quello dell’educazione, in particolare, si muovono per lo più in archivio ed in mezzo a fonti documentarie attinenti il passato, ad ogni buon conto, le motivazioni della loro indagine partono sempre e necessariamente da domande che si pongono sulla contemporaneità e su quanto li circonda e che la loro indagine mira a costruire, come in una sorta di puzzle, le relazioni (dialettiche e costruttive) tra passato, presente e futuro. Una tensione verso il futuro che dà il senso della contemporanea tensione verso il non-ancora o verso un legame con lo spirito dell’utopia, che consente di pensare alla ricerca storica come ad un laboratorio dell’educazione e ad un crogiuolo di civiltà e di culture. Infine, il rilievo conclusivo. Perché queste pagine hanno trovato ospitalità in una rivista che, nata dalla costola della “gloriosa” Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secon¬dario ferrarese, si dedica programmaticamente a questioni legate alla didattica ed alla formazione dei docenti? Non da ora, ma ogni volta che mi sono interro¬gata sul corredo delle competenze del futuro insegnante ho esplicitamente so¬stenuto che il primo, ineludibile requisito per affrontare l’attività docente è la cultura generale, affiancata e arricchita da una preparazione disciplinare su cui vanno ad innestarsi le imprescindibili competenze negli ambiti della Scienza dell’educazione e della Didattica generale. Se l’insegnamento ha come compito precipuo quello di far acquisire agli alunni, attraverso informazioni e contenuti specifici, capacità logico-argomen¬tative, autonomia di giudizio, senso critico, disponibilità a continuare ad apprendere anche in assenza di un maestro; se, in una parola, l’insegnamento ha per compito precipuo quello di far imparare a pensare, allora è innegabile che la conoscenza di una disciplina – la cultura specifica della materia professata – non può e non deve limitarsi al riepilogo di una serie di contenuti o non è e non deve coincidere con una erudizione enciclopedica in un dato ambito. In quanto ricercatore, un insegnante deve abituarsi a condividere con tutti i ricercatori l’abito mentale del dubbio e un atteggiamento anti-dogmatico ed ipotetico. Ciò, ne sono convinta, si acquisisce prima di tutto interrogandosi sui fondamenti logici, epistemologici e metodologici di un dato sapere. Un punto di forza della (immotivatamente e violentemente) defunta SSIS stava proprio nello spazio riservato ai fondamenti storico-epistemologici delle varie discipline comprese nelle diverse classi di abilitazione. Così non accade nel Tirocinio Formativo Attivo, in cui i tempi contingentati e lo spazio ridotto degli insegnamenti teorici a vantaggio delle didattiche disciplinari, impedisce un approfondimento degli aspetti storico-epistemologici. Alla luce di queste considerazioni non meraviglierà, dunque, se le testimonianze delle giornate di studio, organizzate rispettivamente dal CIRSE e dalla SPES, hanno trovato ospitalità su questa rivista: queste pagine, infatti, sono indirizzate certamente, prima di tutto, agli addetti ai lavori, impegnati nel dibattito sui problemi in esse agitati, ma si rivolgono anche, e non meno direttamente, agli insegnanti della Classe di abilitazione A036 in servizio, ai tutor impegnati nel TFA ed agli specializzandi, che si stanno formando per entrare attivamente nella scuola. A tutti questi, confidiamo di offrire un volume corale suggestivo, capace di sollecitarli a riflettere, mentre informa sullo stato dell’arte, e perfino stimolante per progettare percorsi didattici di Storia dell’educazione (in tutte le sue declinazioni).

Quale identità per la storia dell'educazione?

BELLATALLA, Luciana;BITOSSI, Carlo Paolo;
2013

Abstract

Questo numero monografico degli “Annali on-line della Didattica e della Forma¬zione docente” raccoglie i lavori di due convegni svoltisi su due tematiche distinte, ma tra loro strettamente connesse, perché riconducibili ad una stessa domanda: che cos’è e come si sviluppa la ricerca in ambito storico-educativo. Il primo di questi convegni si è svolto a Ferrara nei giorni 6 e 7 maggio 2013, sotto l’egida del CIRSE, ossia del Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa, mentre il secondo si è tenuto a Pisa nel giugno del 2013, sotto il pa-trocinio della Società di Politica, Educazione e Storia (SPES) per ricordare l’o¬pera di Tina Tomasi, insigne studiosa di Storia della scuola e dell’educazione, già docente alla Facoltà di Magistero dell’ateneo fiorentino, a cento anni dalla sua nascita. Il primo dei due incontri ha avuto come tema una domanda generale e cru¬ciale per gli studi cui mi riferisco, vale a dire “Quale identità per la Storia dell’educazione?”. Nel raccogliere i contributi di entrambe la iniziative, mi è parso opportuno scegliere questa domanda per dare un titolo significativo ed immediatamente comprensibile al numero monografico di questa rivista. Se, infatti, a tutta prima, essa pare riferirsi solo all’incontro ferrarese, di fatto tale domanda ha accompagnato anche le giornate di studio dedicate a Tina Tomasi. Durante queste giornate gli interventi si sono divisi tra una riconsidera¬zione delle opere della Tomasi ed il ricordo della sua attività di insegnante e una riflessione su due aspetti – quello della relazione tra educazione e politica e della centralità del soggetto nella dimensione della storia e della vita civile – cari alla stessa Tomasi e punto nodale in tutta la sua produzione scientifica. Nell’affrontare questi aspetti specifici come nel prendere in esame, a più di vent’anni dalla sua scomparsa, i lavori della studiosa, il centro (implicito, eppure evidente) degli interventi ha finito per vertere sul significato ed il senso della ricerca storico-educativa. Perciò, il presente numero monografico, sebbene diviso in due parti, al fondo, va letto e pensato come un lavoro unitario su un tema complesso – come quello dell’identità della Storia dell’educazione – attraverso una riflessione teo¬rica e la definizione di alcuni ambiti specifici di sua pertinenza (nella prima parte) e, quindi, attraverso l’analisi di alcuni momenti o di alcuni temi partico¬lari, in cui si applica il metodo storiografico descritto, appunto, nella medesima prima parte. La se¬conda parte del presente numero, dunque, va pensata e considerata non come un’appendice della prima parte, bensì, piuttosto, come un suo necessario e le-gittimo complemento. Senza scendere nel merito dei vari interventi e per non togliere al lettore che abbia voglia e tempo di addentrarsi nel percorso teorico-metodologico che que¬ste pagine disegnano, il gusto della scoperta, mi siano tuttavia concesse tre notazioni: una sugli inter¬venti qui riuniti; e due di carattere più generale. Partiamo dalla prima. Ai due incontri hanno partecipato studiosi di varie università, oltre ovvia¬mente a chi scrive ed ai colleghi ferraresi. Ciò ha consentito di costruire un di¬scorso articolato: si tratta di voci che rendono conto dell’attuale stato dell’arte in questo specifico ambito di ricerca e che ne mettono in luce anche le diverse sfaccettature. Ed eccoci alle notazioni più generali e attinenti strettamente al numero che sto presentando. Innanzitutto, chiediamoci perché, visto l’attuale rigoglio della saggistica sto¬rico-educativa ed una crescente apertura dei suoi confini ad ambiti e tematiche solo alcuni decenni fa impensabili per questi studi, il CIRSE e gli organizzatori abbiano ritenuto interessante riproporre la domanda sull’identità di questi studi. Come si evince dagli interventi della prima parte, la diffusione dei lavori pubblicati non corrisponde sempre ad una chiarezza circa i fondamenti episte-mologici o a un rigore metodologico altrettanto condiviso e ben distinguibile da quello della ricerca meramente documentaria o capace di interrogarsi sull’uso ed il significato di strumenti e fonti documentarie legate a forme nuove di comunicazione e di diffusione delle notizie. Lo attestano gli interventi di Bellatalla, Genovesi, Grassi e Todaro. E, come se ciò non bastasse, non man¬cano, come emerge dagli interventi di Barbieri, Callegari e Cantatore, alcuni sotto-settori della ricerca storico-educativa, quali l’Educazione comparata o la Letteratura per l’infanzia, che si configurano non solo in maniera complessa, ma mostrano anche degli spazi di definizione, sia a livello teorico sia a livello di contenuti da indagare, ancora aperti e non sempre facili da cogliere e da distin¬guere rispetto ad approcci ora sociologici ora letterari ora meramente politici. Inoltre, e questo è più evidente nella seconda parte del presente numero, non manca una apertura interdisciplinare. In questo modo la ricerca storico-educa¬tiva può dialogare – e il saggio di Bitossi ne è un esempio chiaro – con la storia generale o, come mostra l’intervento di Catarci, con questioni concrete, che ri¬mandano a problemi d’ordine sociale, ossia a questioni legate alla formazione civile ed alla contemporaneità. Un modo, questo, per sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, che se lo sto¬rico, in generale, e quello dell’educazione, in particolare, si muovono per lo più in archivio ed in mezzo a fonti documentarie attinenti il passato, ad ogni buon conto, le motivazioni della loro indagine partono sempre e necessariamente da domande che si pongono sulla contemporaneità e su quanto li circonda e che la loro indagine mira a costruire, come in una sorta di puzzle, le relazioni (dialettiche e costruttive) tra passato, presente e futuro. Una tensione verso il futuro che dà il senso della contemporanea tensione verso il non-ancora o verso un legame con lo spirito dell’utopia, che consente di pensare alla ricerca storica come ad un laboratorio dell’educazione e ad un crogiuolo di civiltà e di culture. Infine, il rilievo conclusivo. Perché queste pagine hanno trovato ospitalità in una rivista che, nata dalla costola della “gloriosa” Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secon¬dario ferrarese, si dedica programmaticamente a questioni legate alla didattica ed alla formazione dei docenti? Non da ora, ma ogni volta che mi sono interro¬gata sul corredo delle competenze del futuro insegnante ho esplicitamente so¬stenuto che il primo, ineludibile requisito per affrontare l’attività docente è la cultura generale, affiancata e arricchita da una preparazione disciplinare su cui vanno ad innestarsi le imprescindibili competenze negli ambiti della Scienza dell’educazione e della Didattica generale. Se l’insegnamento ha come compito precipuo quello di far acquisire agli alunni, attraverso informazioni e contenuti specifici, capacità logico-argomen¬tative, autonomia di giudizio, senso critico, disponibilità a continuare ad apprendere anche in assenza di un maestro; se, in una parola, l’insegnamento ha per compito precipuo quello di far imparare a pensare, allora è innegabile che la conoscenza di una disciplina – la cultura specifica della materia professata – non può e non deve limitarsi al riepilogo di una serie di contenuti o non è e non deve coincidere con una erudizione enciclopedica in un dato ambito. In quanto ricercatore, un insegnante deve abituarsi a condividere con tutti i ricercatori l’abito mentale del dubbio e un atteggiamento anti-dogmatico ed ipotetico. Ciò, ne sono convinta, si acquisisce prima di tutto interrogandosi sui fondamenti logici, epistemologici e metodologici di un dato sapere. Un punto di forza della (immotivatamente e violentemente) defunta SSIS stava proprio nello spazio riservato ai fondamenti storico-epistemologici delle varie discipline comprese nelle diverse classi di abilitazione. Così non accade nel Tirocinio Formativo Attivo, in cui i tempi contingentati e lo spazio ridotto degli insegnamenti teorici a vantaggio delle didattiche disciplinari, impedisce un approfondimento degli aspetti storico-epistemologici. Alla luce di queste considerazioni non meraviglierà, dunque, se le testimonianze delle giornate di studio, organizzate rispettivamente dal CIRSE e dalla SPES, hanno trovato ospitalità su questa rivista: queste pagine, infatti, sono indirizzate certamente, prima di tutto, agli addetti ai lavori, impegnati nel dibattito sui problemi in esse agitati, ma si rivolgono anche, e non meno direttamente, agli insegnanti della Classe di abilitazione A036 in servizio, ai tutor impegnati nel TFA ed agli specializzandi, che si stanno formando per entrare attivamente nella scuola. A tutti questi, confidiamo di offrire un volume corale suggestivo, capace di sollecitarli a riflettere, mentre informa sullo stato dell’arte, e perfino stimolante per progettare percorsi didattici di Storia dell’educazione (in tutte le sue declinazioni).
2013
Scienza dell'educazione; storia dell'educazione; Politica e scuola
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