Rimarranno impressionati i lettori che, guardando l’indice di "Victorian Disharmonies. A Reconsideration of Nineteenth-Century English Fiction (2010)", si prefigurano una serie di capitoli monografici dedicati alla narrativa di Charles Dickens, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell, George Gissing e Thomas Hardy. L’ampia introduzione, intitolata The Victorian Ethos and the Disharmony of the World, rivela infatti che l’intelaiatura del volume di Francesco Marroni non è data dall’accostamento di studi incentrati su grandi autori vittoriani. Le quaranta pagine introduttive si presentano come il capitolo fondamentale, nel quale il critico delinea la propria fisionomia. Anziché accontentarsi di sintetizzare i contenuti delle sezioni che seguono, egli traccia una chiara mappa ermeneutica dell’epoca vittoriana. Mostra le lacerazioni del tessuto sociale ponendo in rilievo l’esasperazione delle masse e l’attività politica dei gentiluomini sostenuti da mezzi materiali cospicui e salde convinzioni morali. Lo studioso è particolarmente sensibile alle connotazioni classiste e razziste nelle rappresentazioni vittoriane delle folle metropolitane: quando, in mezzo alla congerie umana, gli scrittori si soffermano sulle fattezze individuali, emergono tratti fisiognomici riconducibili all’origine della specie. L’indagine iniziale rileva con chiarezza e concisione le ragioni per le quali i Vittoriani speravano che il progresso tecnologico potesse ostacolare la barbarie culturale e morale, descrive il sisma epistemico causato dalle teorie evoluzionistiche e mostra come le profezie apocalittiche profuse con biblica magniloquenza da Thomas Carlyle e John Ruskin confutassero le apologie dell’impero britannico. Non solo il quadro delineato nel capitolo introduttivo, ma anche la scelta delle citazioni mostra che il critico è un profondo conoscitore dell’epoca vittoriana. Leggendo i passi accuratamente selezionati, si comprende come la ricerca pervicace di un nomos che attesti l’esistenza di un ordine superiore sia il nucleo concettuale di visioni sontuosamente narrate o presentate ellitticamente, minuziose o sottaciute. Nella dialettica fra il registro mimetico, allegorico e simbolico risiede la forza della scrittura vittoriana.

“Victorian Disharmonies. A Reconsideration of Nineteenth-Century English Fiction di Francesco Marroni, Newark, University of Delaware Press, 2010”

SPINOZZI, Paola
2011

Abstract

Rimarranno impressionati i lettori che, guardando l’indice di "Victorian Disharmonies. A Reconsideration of Nineteenth-Century English Fiction (2010)", si prefigurano una serie di capitoli monografici dedicati alla narrativa di Charles Dickens, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell, George Gissing e Thomas Hardy. L’ampia introduzione, intitolata The Victorian Ethos and the Disharmony of the World, rivela infatti che l’intelaiatura del volume di Francesco Marroni non è data dall’accostamento di studi incentrati su grandi autori vittoriani. Le quaranta pagine introduttive si presentano come il capitolo fondamentale, nel quale il critico delinea la propria fisionomia. Anziché accontentarsi di sintetizzare i contenuti delle sezioni che seguono, egli traccia una chiara mappa ermeneutica dell’epoca vittoriana. Mostra le lacerazioni del tessuto sociale ponendo in rilievo l’esasperazione delle masse e l’attività politica dei gentiluomini sostenuti da mezzi materiali cospicui e salde convinzioni morali. Lo studioso è particolarmente sensibile alle connotazioni classiste e razziste nelle rappresentazioni vittoriane delle folle metropolitane: quando, in mezzo alla congerie umana, gli scrittori si soffermano sulle fattezze individuali, emergono tratti fisiognomici riconducibili all’origine della specie. L’indagine iniziale rileva con chiarezza e concisione le ragioni per le quali i Vittoriani speravano che il progresso tecnologico potesse ostacolare la barbarie culturale e morale, descrive il sisma epistemico causato dalle teorie evoluzionistiche e mostra come le profezie apocalittiche profuse con biblica magniloquenza da Thomas Carlyle e John Ruskin confutassero le apologie dell’impero britannico. Non solo il quadro delineato nel capitolo introduttivo, ma anche la scelta delle citazioni mostra che il critico è un profondo conoscitore dell’epoca vittoriana. Leggendo i passi accuratamente selezionati, si comprende come la ricerca pervicace di un nomos che attesti l’esistenza di un ordine superiore sia il nucleo concettuale di visioni sontuosamente narrate o presentate ellitticamente, minuziose o sottaciute. Nella dialettica fra il registro mimetico, allegorico e simbolico risiede la forza della scrittura vittoriana.
2011
Storiografia letteraria; letteratura vittoriana; approccio linguistico-strutturale; approccio epistemico-culturale; canone letterario; romanzo; racconto
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1736658
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact