L’articolo prende spunto dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di urbanistica perequativa e dalla tendenza dei legislatori regionali a disciplinare tale materia al di fuori dei principi formalmente iscritti nella ormai vetusta legislazione statale. Quest’ultima sembra limitare la possibilità di pianificazione urbanistica ricorrendo alle tradizionali tecniche dello “zoning”, assistite dall’imposizione di vincoli urbanistici e da eventuali procedimenti espropriativi. Le discipline regionali, pur nella loro varietà, hanno ormai da alcuni anni innovato a tale schema ricorrendo a tecniche di c.d. “urbanistica perequativa”, con cui si tende ad assegnare a tutti i proprietari interessati dalla pianificazione e dalla trasformazione urbanistica lo stesso indice di edificabilità virtuale, per poi indurre gli stessi proprietari a collaborare tra loro o con la p.a. al fine di permettere la compensazione di cubature e la parziale cessione delle stesse alla mano pubblica, al fine di realizzare infrastrutture, servizi e la riserva di verde pubblico senza ricorso a dispendiosi procedimenti espropriativi e senza creare privilegi all’interno della “classe” dei proprietari interessati. Tutto ciò ha rischiato di cozzare contro i vincoli imposti dall’art. 117, co. 2, Cost., che impone il rispetto dei principi fondamentali della materia o con la stessa tutela della proprietà contro le espropriazioni (art. 42, co. 3, Cost.), per carenza di adeguata base di legge, come in qualche decisione dei TAR è emerso. L’approccio del Consiglio di Stato è più flessibile e sembra rievocare una non recente dottrina secondo la quale il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni sarebbe flessibile anche nel senso per cui le Regioni possono innovare o integrare principi fondamentali statali ormai desueti. Il che si innesta anche su un problema di inerzia politica del Parlamento che non ha mai adeguatamente posto mano alla disciplina di settore, mentre il Governo si è guardato dall’impugnare le leggi regionali per contrasto con la vecchia legge urbanistica e i suoi principi. Si è trattato di mandare avanti le Regioni e prima ancora i Comuni nello sperimentare forme di perequazione urbanistica che non si aveva la forza politica di gestire dal centro, lasciando così aperti alcuni problemi (come la gestione dei c.d. “diritti edificatori”) che rischiano di esplodere nei contenziosi interni ma anche, più pericolosamente, in quelli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale già spesso ha condannato lo stato per la carente disciplina delle espropriazioni e dell’occupazione per pubblica utilità.

Potestà concorrente e principi innovativi regionali: il caso dell’urbanistica perequativa

GUAZZAROTTI, Andrea
2011

Abstract

L’articolo prende spunto dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di urbanistica perequativa e dalla tendenza dei legislatori regionali a disciplinare tale materia al di fuori dei principi formalmente iscritti nella ormai vetusta legislazione statale. Quest’ultima sembra limitare la possibilità di pianificazione urbanistica ricorrendo alle tradizionali tecniche dello “zoning”, assistite dall’imposizione di vincoli urbanistici e da eventuali procedimenti espropriativi. Le discipline regionali, pur nella loro varietà, hanno ormai da alcuni anni innovato a tale schema ricorrendo a tecniche di c.d. “urbanistica perequativa”, con cui si tende ad assegnare a tutti i proprietari interessati dalla pianificazione e dalla trasformazione urbanistica lo stesso indice di edificabilità virtuale, per poi indurre gli stessi proprietari a collaborare tra loro o con la p.a. al fine di permettere la compensazione di cubature e la parziale cessione delle stesse alla mano pubblica, al fine di realizzare infrastrutture, servizi e la riserva di verde pubblico senza ricorso a dispendiosi procedimenti espropriativi e senza creare privilegi all’interno della “classe” dei proprietari interessati. Tutto ciò ha rischiato di cozzare contro i vincoli imposti dall’art. 117, co. 2, Cost., che impone il rispetto dei principi fondamentali della materia o con la stessa tutela della proprietà contro le espropriazioni (art. 42, co. 3, Cost.), per carenza di adeguata base di legge, come in qualche decisione dei TAR è emerso. L’approccio del Consiglio di Stato è più flessibile e sembra rievocare una non recente dottrina secondo la quale il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni sarebbe flessibile anche nel senso per cui le Regioni possono innovare o integrare principi fondamentali statali ormai desueti. Il che si innesta anche su un problema di inerzia politica del Parlamento che non ha mai adeguatamente posto mano alla disciplina di settore, mentre il Governo si è guardato dall’impugnare le leggi regionali per contrasto con la vecchia legge urbanistica e i suoi principi. Si è trattato di mandare avanti le Regioni e prima ancora i Comuni nello sperimentare forme di perequazione urbanistica che non si aveva la forza politica di gestire dal centro, lasciando così aperti alcuni problemi (come la gestione dei c.d. “diritti edificatori”) che rischiano di esplodere nei contenziosi interni ma anche, più pericolosamente, in quelli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale già spesso ha condannato lo stato per la carente disciplina delle espropriazioni e dell’occupazione per pubblica utilità.
2011
Guazzarotti, Andrea
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