L’autoapplicabilità delle norme appare sempre più come un fenomeno trasversale, rinvenibile a livello di fonti tanto interne che esterne, costituzionali e ordinarie, riguardante tanto profili di tutela dei diritti quanto profili di riparto di attribuzioni e poteri. Senza la pretesa di fondare una nuova categoria dogmatica che possa collocare l’autoapplicabilità accanto alla validità o all’efficacia delle norme, lo studio del fenomeno in questione rivela una serie di elementi comuni su cui è possibile costruire una teoria dell’interpretazione. Una delle tendenze oggi in atto sembra essere quella di un ritorno della valorizzazione della volontà politica su ciò che è o non è norma autoapplicativa, incentivando così una deresponsabilizzazione del giudice dinanzi a problemi inediti o scottanti. L’esperienza maturata in alcuni ambiti sta a dirci che, dietro l’autoapplicabilità delle norme, si celano equilibri settoriali frutto di complessi intrecci di poteri (emblematici i casi “storici” degli artt. 36 e 40 Cost., su diritto alla retribuzione sufficiente e diritto di sciopero), non riconducibili al gioco a somma zero per cui tutto ciò che un potere (il giudiziario) acquista dichiarando l’autoapplicabilità di un atto o di sue norme viene automaticamente sottratto a un altro (il potere politico). Il limitato scopo cui ambisce una simile ricerca trasversale sull’autoapplicabilità è quello di scongiurare la tentazione di approcci semplicistici, tendenti a risolvere il problema dell’autoapplicabilità ricorrendo ad appigli testuali (il rinvio espresso al legislatore contenuto nella Costituzione o alle “Alte parti” contenuto nei trattati) o ad aggiornate versioni della separazione dei poteri. Attraverso l’analisi di alcuni casi emblematici il libro evidenzia come il compito cui è chiamato il giudice (in primis il giudice costituzionale, ma non solo) sia quello di costruire sistemi bilanciati al loro interno. Il bilanciamento principale è quello tra efficacia della sanzione contro la mancata attuazione di determinati atti normativi e legittimità dei contenuti di tali atti, per cui, tanto più si punta verso l’efficacia di un atto normativo (o di un complesso sistema normativo), tanto più cresce l’esigenza di legittimazione di quell’atto o di quel sistema (il paradigma è quello della giurisprudenza della Corte di giustizia che, dopo aver varato la dottrina degli effetti diretti delle norme comunitarie, ha poi incorporato i diritti fondamentali quali limiti a tali norme). Ma vale anche la reciproca: tanto più si neutralizza l’autoapplicabilità di un atto, tanto più emergono costi che tendono a porre in crisi la legittimità dell’assetto di beni e interessi risultante da quella neutralizzazione (come illustra l’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia sulla non autoapplicabilità delle norme WTO).
L'autoapplicabilità delle norme. Un percorso costituzionale
GUAZZAROTTI, Andrea
2011
Abstract
L’autoapplicabilità delle norme appare sempre più come un fenomeno trasversale, rinvenibile a livello di fonti tanto interne che esterne, costituzionali e ordinarie, riguardante tanto profili di tutela dei diritti quanto profili di riparto di attribuzioni e poteri. Senza la pretesa di fondare una nuova categoria dogmatica che possa collocare l’autoapplicabilità accanto alla validità o all’efficacia delle norme, lo studio del fenomeno in questione rivela una serie di elementi comuni su cui è possibile costruire una teoria dell’interpretazione. Una delle tendenze oggi in atto sembra essere quella di un ritorno della valorizzazione della volontà politica su ciò che è o non è norma autoapplicativa, incentivando così una deresponsabilizzazione del giudice dinanzi a problemi inediti o scottanti. L’esperienza maturata in alcuni ambiti sta a dirci che, dietro l’autoapplicabilità delle norme, si celano equilibri settoriali frutto di complessi intrecci di poteri (emblematici i casi “storici” degli artt. 36 e 40 Cost., su diritto alla retribuzione sufficiente e diritto di sciopero), non riconducibili al gioco a somma zero per cui tutto ciò che un potere (il giudiziario) acquista dichiarando l’autoapplicabilità di un atto o di sue norme viene automaticamente sottratto a un altro (il potere politico). Il limitato scopo cui ambisce una simile ricerca trasversale sull’autoapplicabilità è quello di scongiurare la tentazione di approcci semplicistici, tendenti a risolvere il problema dell’autoapplicabilità ricorrendo ad appigli testuali (il rinvio espresso al legislatore contenuto nella Costituzione o alle “Alte parti” contenuto nei trattati) o ad aggiornate versioni della separazione dei poteri. Attraverso l’analisi di alcuni casi emblematici il libro evidenzia come il compito cui è chiamato il giudice (in primis il giudice costituzionale, ma non solo) sia quello di costruire sistemi bilanciati al loro interno. Il bilanciamento principale è quello tra efficacia della sanzione contro la mancata attuazione di determinati atti normativi e legittimità dei contenuti di tali atti, per cui, tanto più si punta verso l’efficacia di un atto normativo (o di un complesso sistema normativo), tanto più cresce l’esigenza di legittimazione di quell’atto o di quel sistema (il paradigma è quello della giurisprudenza della Corte di giustizia che, dopo aver varato la dottrina degli effetti diretti delle norme comunitarie, ha poi incorporato i diritti fondamentali quali limiti a tali norme). Ma vale anche la reciproca: tanto più si neutralizza l’autoapplicabilità di un atto, tanto più emergono costi che tendono a porre in crisi la legittimità dell’assetto di beni e interessi risultante da quella neutralizzazione (come illustra l’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia sulla non autoapplicabilità delle norme WTO).I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.