Da più di trenta anni mi occupo della scuola di ogni ordine e grado durante il periodo fascista. Da sempre, ossia non appena l’analisi dei documenti me l’ha permesso, porto avanti l’ipotesi che è una asserzione avventata e semplicistica affermare che la scuola durante il Ventennio era una scuola fascistizzata. A me pare che sia più corretto dire che il fascismo si sforzò di fascistizzarla, ossia assoggettarla ai suoi fini e farne un proprio strumento di propaganda o di penetrazione tra le masse. Secondo taluni studiosi, come per esempio Michel Ostenc, il “colpo” riuscì al fascismo, in modo particolare, con la scuola elementare . Io credo che il fascismo abbia fallito in tutti gli ordini di scuola, come già ho avuto modo di sostenere più volte e in maniera più organica ed approfondita nel saggio sulla storia della scuola del 1998 . Una spia di tale fallimento, insieme alle svariate circolari dei segretari del partito che lamentavano la completa mancata fascistizzazione della scuola è l’impegno che il partito profuse nel mettere in piedi organizzazioni come l’ONB (1926) e poi la GIL (1937) con il compito precipuo di fare quello che la scuola non aveva fatto e, soprattutto, non poteva fare: divenire fascista e formare il fascista. Ho avuto modo di scriverlo altre volte: la scuola, in quanto scuola, non poteva e non può essere fascista, perché essa, in quanto scuola non può essere che tale, ossia non sopporta nessuna qualificazione. Nel momento che si tenta di farla divenire una scuola particolare, fascista, marxista, cattolica, ebraica o musulmana, cessa di essere scuola. Storicamente, possiamo constatare che la scuola, forzata a divenire ciò che non le è possibile divenire, prima reagisce con la difesa dei suoi apparati culturali tradizionali e si arrocca in se stessa. In un secondo momento dà l’impressione di arrendersi. Accetta ciò che le viene impartito: programmi, libri di testo, scansioni ad hoc del calendario scolastico, atti formali di ossequio imposti dal regime, momenti di pausa dedicati alla propaganda politica, quali, per es. il tesseramento per l’Opera Nazionale Balilla che, peraltro, è visto proprio come un modo per liberare la scuola, ecc. Io voglio dire che la scuola durante il Ventennio non fu fascista, in tutti i suoi vari ordini, perché, in linea generale, cercò di restare scuola e rifiutò la propaganda fascista. Gli insegnanti, sia pure fascisti, a scuola non potevano fare i fascisti, pena il non essere più insegnanti. Pena, cioè, il perdere la loro identità professionale. È veramente difficile ipotizzare, a cuor leggero, che un individuo rinunci alla sua professionalità in nome di un’ideologia cui pure lui aderisce toto corde. Mi pare molto più probabile avanzare l’ipotesi che questo individuo faccia leva su quella ideologia per caratterizzare la sua professionalità, nella fattispecie quella dell’insegnante. Quella ideologia, una volta entrata nel circolo di quella professionalità viene, gioco forza, ridimensionata da quella che sono le norme imprescindibili dell’insegnamento che si impegna a far circolare idee affinché siano apprese. Ma per far circolare idee l’insegnante non può altro che avvalersi di contenuti, che deve conoscere e saper manipolare a menadito. Non può, in nessun modo, sostituirli con l’ideologia. O meglio, lo può fare, ma allora non è più insegnante e, se dipendesse da lui, la scuola non potrebbe più esserci. Cosa significa tutto ciò: significa che la scuola fascista, ossia fascistizzata, non poteva esserci o non c’è stata. So bene che alla maggior parte dei lettori questa può sembrare un’affermazione non corrispondente alla realtà, non foss’altro perché la scuola che ha operato nel Ventennio è italianamente corretto chiamarla scuola fascista. Ma non dobbiamo confondere la correttezza grammaticale e sintattica con la correttezza valutativa. Ossia, una scuola che sia stata operativa nel Ventennio, non necessariamente doveva essere fascista nei modi, negli strumenti e nei fini.

La mancata fascistizzazione della scuola e la sue pesante eredità

GENOVESI, Giovanni
2010

Abstract

Da più di trenta anni mi occupo della scuola di ogni ordine e grado durante il periodo fascista. Da sempre, ossia non appena l’analisi dei documenti me l’ha permesso, porto avanti l’ipotesi che è una asserzione avventata e semplicistica affermare che la scuola durante il Ventennio era una scuola fascistizzata. A me pare che sia più corretto dire che il fascismo si sforzò di fascistizzarla, ossia assoggettarla ai suoi fini e farne un proprio strumento di propaganda o di penetrazione tra le masse. Secondo taluni studiosi, come per esempio Michel Ostenc, il “colpo” riuscì al fascismo, in modo particolare, con la scuola elementare . Io credo che il fascismo abbia fallito in tutti gli ordini di scuola, come già ho avuto modo di sostenere più volte e in maniera più organica ed approfondita nel saggio sulla storia della scuola del 1998 . Una spia di tale fallimento, insieme alle svariate circolari dei segretari del partito che lamentavano la completa mancata fascistizzazione della scuola è l’impegno che il partito profuse nel mettere in piedi organizzazioni come l’ONB (1926) e poi la GIL (1937) con il compito precipuo di fare quello che la scuola non aveva fatto e, soprattutto, non poteva fare: divenire fascista e formare il fascista. Ho avuto modo di scriverlo altre volte: la scuola, in quanto scuola, non poteva e non può essere fascista, perché essa, in quanto scuola non può essere che tale, ossia non sopporta nessuna qualificazione. Nel momento che si tenta di farla divenire una scuola particolare, fascista, marxista, cattolica, ebraica o musulmana, cessa di essere scuola. Storicamente, possiamo constatare che la scuola, forzata a divenire ciò che non le è possibile divenire, prima reagisce con la difesa dei suoi apparati culturali tradizionali e si arrocca in se stessa. In un secondo momento dà l’impressione di arrendersi. Accetta ciò che le viene impartito: programmi, libri di testo, scansioni ad hoc del calendario scolastico, atti formali di ossequio imposti dal regime, momenti di pausa dedicati alla propaganda politica, quali, per es. il tesseramento per l’Opera Nazionale Balilla che, peraltro, è visto proprio come un modo per liberare la scuola, ecc. Io voglio dire che la scuola durante il Ventennio non fu fascista, in tutti i suoi vari ordini, perché, in linea generale, cercò di restare scuola e rifiutò la propaganda fascista. Gli insegnanti, sia pure fascisti, a scuola non potevano fare i fascisti, pena il non essere più insegnanti. Pena, cioè, il perdere la loro identità professionale. È veramente difficile ipotizzare, a cuor leggero, che un individuo rinunci alla sua professionalità in nome di un’ideologia cui pure lui aderisce toto corde. Mi pare molto più probabile avanzare l’ipotesi che questo individuo faccia leva su quella ideologia per caratterizzare la sua professionalità, nella fattispecie quella dell’insegnante. Quella ideologia, una volta entrata nel circolo di quella professionalità viene, gioco forza, ridimensionata da quella che sono le norme imprescindibili dell’insegnamento che si impegna a far circolare idee affinché siano apprese. Ma per far circolare idee l’insegnante non può altro che avvalersi di contenuti, che deve conoscere e saper manipolare a menadito. Non può, in nessun modo, sostituirli con l’ideologia. O meglio, lo può fare, ma allora non è più insegnante e, se dipendesse da lui, la scuola non potrebbe più esserci. Cosa significa tutto ciò: significa che la scuola fascista, ossia fascistizzata, non poteva esserci o non c’è stata. So bene che alla maggior parte dei lettori questa può sembrare un’affermazione non corrispondente alla realtà, non foss’altro perché la scuola che ha operato nel Ventennio è italianamente corretto chiamarla scuola fascista. Ma non dobbiamo confondere la correttezza grammaticale e sintattica con la correttezza valutativa. Ossia, una scuola che sia stata operativa nel Ventennio, non necessariamente doveva essere fascista nei modi, negli strumenti e nei fini.
2010
9788820749903
educazione scuola politica
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1408709
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