Non so bene dove mi porterà il cuore. Tutto sembra così facile. Così semplice. Ora, giusto per non perdere il senso del ragionamento, mi diverto (nell’etimologia montaliana delle divertite passioni, ovvero quelle che deviano dal tracciato principale giusto perché se no quale divertimento c’è) ad aprire una relazione tra la visione desiderante e congiuntiva al consumo in cui “l’azione di montaggio” è parte del tutto, come in una schizofrenica parade anti-edipica (Gilles Deleuze e Félix Guattari) e il mito anti-ikea, che appare all’orizzonte di questo miracoloso feticcio che rende l’artificiale necessario, quasi in un’azione contro natura (Gillo Dorfles). Componibile non è composto, ovvero risultato di un atto compositivo. Componibile non è combinabile (penso alle splendide parole di Bruno Munari in Fantasia, che cerca di indurre esercizi per stimolare la creatività usando fogli strutturati a reticolo). Nel “progetto componibile” non c’è in realtà un particolare grado di sperimentazione. La consapevolezza di avere a che fare con un ordine (spesso geometrico) determina un efficace effetto tranquillizzante: dove le cose sono componibili ci si sente più sicuri, non si deve fare troppa fatica. In qualche modo la componibilità attribuisce agli oggetti (e all’architettura) un potere di apparente conoscenza, pronto a sfruttare meccanismi percettivi che sono alla base della nostra struttura evolutiva: scriveva a questo proposito il Gombrich che “il monotono può non venire registrato, mentre l’intricato può confondere”. Infatti nella componibilità è insito qualcosa di fatico, che apre il ragionamento ad un’assunzione prevalentemente passiva, routinaria, prevedibile. Come se esistesse un legame “tra facilità di costruzione e facilità di percezione”. Un legame che si estrinseca nella costruzione di modelli a base componibile i quali, fondamentalmente, sono pronti a regolare le nostre aspettative. Un effetto lego molto diverso dal codice ovvio che esprimeva Bruno Munari nel suo famoso libro di appunti curato da Paolo Fossati, volto ad offrire il “rigoroso montaggio” dell’azione creativa e dell’invenzione. La semplificazione in questo caso non determina mai un risultato componibile. Anzi, esprime un rigore fatto di ricerca e di esattezza per ambire alla massima libertà espressiva. La coerenza non è determinata dalla regola componibile quanto da un’analisi che porta ad esprimere un equilibrio (a volte anche degli opposti) in modo diretto e chiaro. Secondo Bruno Munari la forza o meglio il potere di comunicazione si sviluppano da una funziona pedagogica, che è metodo e ricerca insieme. Probabilmente l’influsso narrativo, che sorge dalla componibilità, è debole, è povero, è autolimitato. Ricorda il parossismo dell’ipertrofia segnica che rende “perduto l’intervallo” (Gillo Dorfles). Un’assenza quella dell’intervallo, della pausa, della sospensione, che nell’horror vacui indotto dal componibile prospetta il pericolo della “sempre più difficile creazione di qualcosa di nuovo, di inedito”. Dorfles metteva in guardia sulla tendenza alienante prodotta da alcuni rituali consumistici (anche sul piano della produzione artistica) che mimavano con un riempitivo componibile e assemblabile un processo di perdita di assunzione di significati. Un processo intuito trent’anni fa che ora sembra quanto mai incessante e inarrestabile. Mi vengono in mente le parola di Tomás Maldonado, raccolte da Hans Ulrich Obrist in una recente intervista, in cui stimolava i giovani “a rendersi più consapevoli e meno distratti riguardo ai rischi cui sono ora esposti nella nostra società. Due in particolare: il conformismo e il nichilismo”. Sono atteggiamenti che producono un cinico opportunismo accompagnato da uno sterile disfattismo, destinati, “prima o poi, ad abdicare a ogni forma di azione o d’intervento sul reale”. Aspetti di un’involuzione sociale percepita nelle nuove generazioni che, il quasi novantenne Maldonado autore de La speranza progettuale, tenta di recuperare conciliando positività e critica. Che, guarda caso, sembrano le facce (in equilibrio) della stessa moneta anche per Bruno Munari. Insomma, a questo punto, credo che il pensiero scomponibile possa essere intrapreso.

Pensiero scomponibile per l'anti-ikea

BALZANI, Marcello
2010

Abstract

Non so bene dove mi porterà il cuore. Tutto sembra così facile. Così semplice. Ora, giusto per non perdere il senso del ragionamento, mi diverto (nell’etimologia montaliana delle divertite passioni, ovvero quelle che deviano dal tracciato principale giusto perché se no quale divertimento c’è) ad aprire una relazione tra la visione desiderante e congiuntiva al consumo in cui “l’azione di montaggio” è parte del tutto, come in una schizofrenica parade anti-edipica (Gilles Deleuze e Félix Guattari) e il mito anti-ikea, che appare all’orizzonte di questo miracoloso feticcio che rende l’artificiale necessario, quasi in un’azione contro natura (Gillo Dorfles). Componibile non è composto, ovvero risultato di un atto compositivo. Componibile non è combinabile (penso alle splendide parole di Bruno Munari in Fantasia, che cerca di indurre esercizi per stimolare la creatività usando fogli strutturati a reticolo). Nel “progetto componibile” non c’è in realtà un particolare grado di sperimentazione. La consapevolezza di avere a che fare con un ordine (spesso geometrico) determina un efficace effetto tranquillizzante: dove le cose sono componibili ci si sente più sicuri, non si deve fare troppa fatica. In qualche modo la componibilità attribuisce agli oggetti (e all’architettura) un potere di apparente conoscenza, pronto a sfruttare meccanismi percettivi che sono alla base della nostra struttura evolutiva: scriveva a questo proposito il Gombrich che “il monotono può non venire registrato, mentre l’intricato può confondere”. Infatti nella componibilità è insito qualcosa di fatico, che apre il ragionamento ad un’assunzione prevalentemente passiva, routinaria, prevedibile. Come se esistesse un legame “tra facilità di costruzione e facilità di percezione”. Un legame che si estrinseca nella costruzione di modelli a base componibile i quali, fondamentalmente, sono pronti a regolare le nostre aspettative. Un effetto lego molto diverso dal codice ovvio che esprimeva Bruno Munari nel suo famoso libro di appunti curato da Paolo Fossati, volto ad offrire il “rigoroso montaggio” dell’azione creativa e dell’invenzione. La semplificazione in questo caso non determina mai un risultato componibile. Anzi, esprime un rigore fatto di ricerca e di esattezza per ambire alla massima libertà espressiva. La coerenza non è determinata dalla regola componibile quanto da un’analisi che porta ad esprimere un equilibrio (a volte anche degli opposti) in modo diretto e chiaro. Secondo Bruno Munari la forza o meglio il potere di comunicazione si sviluppano da una funziona pedagogica, che è metodo e ricerca insieme. Probabilmente l’influsso narrativo, che sorge dalla componibilità, è debole, è povero, è autolimitato. Ricorda il parossismo dell’ipertrofia segnica che rende “perduto l’intervallo” (Gillo Dorfles). Un’assenza quella dell’intervallo, della pausa, della sospensione, che nell’horror vacui indotto dal componibile prospetta il pericolo della “sempre più difficile creazione di qualcosa di nuovo, di inedito”. Dorfles metteva in guardia sulla tendenza alienante prodotta da alcuni rituali consumistici (anche sul piano della produzione artistica) che mimavano con un riempitivo componibile e assemblabile un processo di perdita di assunzione di significati. Un processo intuito trent’anni fa che ora sembra quanto mai incessante e inarrestabile. Mi vengono in mente le parola di Tomás Maldonado, raccolte da Hans Ulrich Obrist in una recente intervista, in cui stimolava i giovani “a rendersi più consapevoli e meno distratti riguardo ai rischi cui sono ora esposti nella nostra società. Due in particolare: il conformismo e il nichilismo”. Sono atteggiamenti che producono un cinico opportunismo accompagnato da uno sterile disfattismo, destinati, “prima o poi, ad abdicare a ogni forma di azione o d’intervento sul reale”. Aspetti di un’involuzione sociale percepita nelle nuove generazioni che, il quasi novantenne Maldonado autore de La speranza progettuale, tenta di recuperare conciliando positività e critica. Che, guarda caso, sembrano le facce (in equilibrio) della stessa moneta anche per Bruno Munari. Insomma, a questo punto, credo che il pensiero scomponibile possa essere intrapreso.
2010
Balzani, Marcello
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1402188
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