Negli anni recenti è noto come due tesi si siano confrontate circa le performance del sistema produttivo italiano. Da un lato la tesi del “declino” che enfatizza la perdita di competitività del sistema italiano attestato dai bassi tassi di crescita di medio periodo del reddito e dalla stagnazione della produttività, sia assoluta che relativa se rapportata ai maggiori paesi industriali con cui il nostro paese si confronta (Banca d’Italia, 2003; Ciocca, 2003; Faini, 2004; Brandolini, Bugamelli, 2009). Dall’altro è stata contrapposta la tesi della “trasformazione” che evidenzia invece significativi cambiamenti di struttura e di comportamento delle imprese italiane negli ultimi dieci anni, cambiamenti che spiegherebbero il relativo successo del “made in Italy” sui mercati internazionali, attestato anche dalle buone performance delle esportazioni italiane in una fase lunga di euro forte (Fortis, Quadrio Curzio, a cura di, 2006; Fortis, 2009; Quintieri, 2007; Coltorti, 2006; Cossentino, 2009; Ginzburg, 2005; Ginzburg, Bigarelli, 2008). Negli ultimi anni vi sono stati senza dubbio segnali importanti di una rinnovata capacità di trasformazione di parte dell'industria italiana: il successo sui mercati esteri delle produzioni italiane, soprattutto nella fase positiva del ciclo del biennio 2006-2007, attesterebbe la ripresa della competitività delle imprese. Ma anche i dati più recenti dell’Istat (2009) confermano che nel medio periodo le difficoltà del sistema produttivo sono evidenti, soprattutto se si guarda all’indicatore grezzo, ma pur sempre cruciale, della produttività del lavoro, per ora lavorata in particolare. L'attuale recessione dell'economia nazionale non appare affatto un fenomeno temporalmente delimitato per il nostro paese che risente della crisi internazionale, ma prosegue una tendenza di bassa crescita del prodotto interno lordo e di stagnazione della produttività. Depurando i dati dal ciclo economico risulta evidente come da metà degli anni novanta il nostro paese abbia sofferto di una scarsa capacità di crescita, nella misura in cui il PIL non superava un +1% su base annua con un produttività del lavoro stagnante anche nei settori manifatturieri. La trasposizione di tali tesi può essere effettuata anche al sistema produttivo della regione Emilia-Romagna, ma la chiave interpretativa dei risultati dell’economia regionale assume un caratteri diversi che non si adattano ad alcuna delle due tesi sopra ricordate. Infatti, se spostiamo l’attenzione, in modo comparato, al contesto regionale emiliano-romagnolo, notiamo che dal 1995, periodo per il quale vi sono dati aggiornati e comparabili tra regioni, vi è evidenza di un analogo declino della crescita della produttività del lavoro per l’economia nel suo complesso, mentre per i settori industriali si registra una marcata differenza dal comportamento nazionale. Sembra che il comportamento deludente aggregato della regione sia da attribuire alle dinamiche del terziario e non certo a quello del secondario . Tre sono i fattori che stanno alla base delle performance superiori dei settori industriali: la dinamica favorevole della produttività del lavoro in presenza di retribuzioni reali pure esse tendenzialmente in crescita, l’intensità innovativa del sistema produttivo regionale attestato da specifiche variabili di input di innovazione tecno-organizzativa, un sistema istituzionale di relazioni di lavoro tra direzione e dipendenti nelle imprese e di regolazione sociale dei conflitti che favorisce il dialogo con il sindacato e la condivisioni di procedure di confronto volte a supportare l’attività innovativa. Il sistema produttivo regionale, nonostante abbia risentito pesantemente della attuale congiuntura negativa, ha mostrato così anche forti caratteri di solidità strutturale, contenendo gli effetti della crisi sul mercato del lavoro e salvaguardando la robustezza del sistema industriale . Ciò che emerge con nitidezza dalla lettura dei dati aggregati degli ultimi dieci anni, al di là dei risultati congiunturali, è però che la performance del sistema produttivo dell’Emilia-Romagna risulta da due sentieri che appaiono abbastanza divergenti: da un lato i settori industriali che, trainati dalla componente estera della domanda, fanno registrare una crescita del valore aggiunto a tassi ben più elevati della media nazionale, con guadagni significativi anche in termini di occupazione; dall’altro, i settori del terziario che frenano la crescita con dinamiche della produttività spesso negative, compensate da una forte intensità occupazionale della crescita del valore aggiunto. Ne risulta ciò che definiamo una “crescita sbilanciata” a livello regionale negli ultimi anni: una crescita sostenuta dai settori industriali che registrano più elevati tassi di crescita del valore aggiunto e anche dell’occupazione rispetto alla media nazionale, e sostenuto dall’andamento delle esportazioni, ma frenata dai settori dei servizi, che invece registrano dinamiche negative della produttività pur se con andamenti occupazionali positivi.

Il sistema industriale dell’Emilia-Romagna: crisi e strategie innovative

PINI, Paolo
2010

Abstract

Negli anni recenti è noto come due tesi si siano confrontate circa le performance del sistema produttivo italiano. Da un lato la tesi del “declino” che enfatizza la perdita di competitività del sistema italiano attestato dai bassi tassi di crescita di medio periodo del reddito e dalla stagnazione della produttività, sia assoluta che relativa se rapportata ai maggiori paesi industriali con cui il nostro paese si confronta (Banca d’Italia, 2003; Ciocca, 2003; Faini, 2004; Brandolini, Bugamelli, 2009). Dall’altro è stata contrapposta la tesi della “trasformazione” che evidenzia invece significativi cambiamenti di struttura e di comportamento delle imprese italiane negli ultimi dieci anni, cambiamenti che spiegherebbero il relativo successo del “made in Italy” sui mercati internazionali, attestato anche dalle buone performance delle esportazioni italiane in una fase lunga di euro forte (Fortis, Quadrio Curzio, a cura di, 2006; Fortis, 2009; Quintieri, 2007; Coltorti, 2006; Cossentino, 2009; Ginzburg, 2005; Ginzburg, Bigarelli, 2008). Negli ultimi anni vi sono stati senza dubbio segnali importanti di una rinnovata capacità di trasformazione di parte dell'industria italiana: il successo sui mercati esteri delle produzioni italiane, soprattutto nella fase positiva del ciclo del biennio 2006-2007, attesterebbe la ripresa della competitività delle imprese. Ma anche i dati più recenti dell’Istat (2009) confermano che nel medio periodo le difficoltà del sistema produttivo sono evidenti, soprattutto se si guarda all’indicatore grezzo, ma pur sempre cruciale, della produttività del lavoro, per ora lavorata in particolare. L'attuale recessione dell'economia nazionale non appare affatto un fenomeno temporalmente delimitato per il nostro paese che risente della crisi internazionale, ma prosegue una tendenza di bassa crescita del prodotto interno lordo e di stagnazione della produttività. Depurando i dati dal ciclo economico risulta evidente come da metà degli anni novanta il nostro paese abbia sofferto di una scarsa capacità di crescita, nella misura in cui il PIL non superava un +1% su base annua con un produttività del lavoro stagnante anche nei settori manifatturieri. La trasposizione di tali tesi può essere effettuata anche al sistema produttivo della regione Emilia-Romagna, ma la chiave interpretativa dei risultati dell’economia regionale assume un caratteri diversi che non si adattano ad alcuna delle due tesi sopra ricordate. Infatti, se spostiamo l’attenzione, in modo comparato, al contesto regionale emiliano-romagnolo, notiamo che dal 1995, periodo per il quale vi sono dati aggiornati e comparabili tra regioni, vi è evidenza di un analogo declino della crescita della produttività del lavoro per l’economia nel suo complesso, mentre per i settori industriali si registra una marcata differenza dal comportamento nazionale. Sembra che il comportamento deludente aggregato della regione sia da attribuire alle dinamiche del terziario e non certo a quello del secondario . Tre sono i fattori che stanno alla base delle performance superiori dei settori industriali: la dinamica favorevole della produttività del lavoro in presenza di retribuzioni reali pure esse tendenzialmente in crescita, l’intensità innovativa del sistema produttivo regionale attestato da specifiche variabili di input di innovazione tecno-organizzativa, un sistema istituzionale di relazioni di lavoro tra direzione e dipendenti nelle imprese e di regolazione sociale dei conflitti che favorisce il dialogo con il sindacato e la condivisioni di procedure di confronto volte a supportare l’attività innovativa. Il sistema produttivo regionale, nonostante abbia risentito pesantemente della attuale congiuntura negativa, ha mostrato così anche forti caratteri di solidità strutturale, contenendo gli effetti della crisi sul mercato del lavoro e salvaguardando la robustezza del sistema industriale . Ciò che emerge con nitidezza dalla lettura dei dati aggregati degli ultimi dieci anni, al di là dei risultati congiunturali, è però che la performance del sistema produttivo dell’Emilia-Romagna risulta da due sentieri che appaiono abbastanza divergenti: da un lato i settori industriali che, trainati dalla componente estera della domanda, fanno registrare una crescita del valore aggiunto a tassi ben più elevati della media nazionale, con guadagni significativi anche in termini di occupazione; dall’altro, i settori del terziario che frenano la crescita con dinamiche della produttività spesso negative, compensate da una forte intensità occupazionale della crescita del valore aggiunto. Ne risulta ciò che definiamo una “crescita sbilanciata” a livello regionale negli ultimi anni: una crescita sostenuta dai settori industriali che registrano più elevati tassi di crescita del valore aggiunto e anche dell’occupazione rispetto alla media nazionale, e sostenuto dall’andamento delle esportazioni, ma frenata dai settori dei servizi, che invece registrano dinamiche negative della produttività pur se con andamenti occupazionali positivi.
2010
Pini, Paolo
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