La materia è, per definizione, un elemento stabile, tendenzialmente solido e indiscutibilmente permanente della realtà, che identifica in maniera non banale ogni “supporto primario e passivo di qualità sensibili” (Gratton). Interessante appare questa doppia vocazione, che fonda una funzione basica all’espressione di passività della materia in rapporto di percezione, quindi di relazione plurisensoriale. La materia è passiva perché con la materia “si fanno” le cose (case), perché si “agisce sulla materia”, perché non c’è limite di azione. Volendo piegare il significato verso un ambito più connesso alla creazione architettonica si potrebbe ricordare che è materia tutto ciò per mezzo della quale si può realizzare una “forma”, quindi può identificarsi in una causa efficiente (Aristotele), modificando il punto di vista e riducendo alcuni margini di passività. Resta poi da chiedersi se l’idea della forma può essere già insita nella materia e se la materia può in qualche modo condizionare l’azione formale attraverso un potenziale scambio informativo tanto caro a molte avanguardie artistiche del Novecento.La materia, che da sempre viene considerata eterna e indistruttibile, estesa e diffusa, impenetrabile e in movimento (Cartesio) è anche antagonista a quella non-materia (vuoto), che per molto tempo non si pensava neppure potesse esistere; basta ripercorre il Lucrezio del De rerum natura, l’atomismo epicureo e tutta la scuola filosofica di Democrito. Quindi un’esistenza problematica per definizione, non tanto nell’oggettività dei fatti quanto soprattutto nel rapporto con l’intorno e con il contesto, che nega e identifica. Dalla facile considerazione sulla stabilità esistenziale della materia, si è sviluppato un pensiero antichissimo, quello sulla “natura della materia”, che ha sempre richiesto un altro elemento nel binomio che genera gli opposti, fosse la forma, l’energia o (forse più efficacemente) lo spirito. E da qui si entra in uno di quei gironi infernali che fonde ogni materia nel crogiuolo del pensiero filosofico. La materia è malefica, perché se la forma (spirituale) porta verso il bene la materia conduce irrimediabilmente al male (Plotino) e se si pensa alla posizione spirituale di Berkeley, riecheggiata in questo breve testo nella citazione tratta dal relativo quanto illuminate saggio di Jorge Luis Borges in Inquisizioni, la materia non ha esistenza fuori dalla mente che la percepisce. Una posizione di grande fascino che connette a doppio filo ciò che siamo con ciò a cui apparteniamo, su cui l’ironia di un antico quanto diffuso gioco di parole spietatamente abbatte la sua scure: no matter, never mind. Come a dire “non importa, non preoccupatevi” mentre dal rumore di fondo si alza un bisbiglio che dopo poco urla: “niente materia, non più mente”. È un’inadeguatezza, quella che scorre tra materia e spirito, che per l’Architettura sarà sempre risvegliata. Si pensi a come Hegel attribuisca incapacità espressiva (dell’individualità come dell’interiorità spirituale) proprio alla natura non spirituale dei materiali componenti l’architettura, diversamente dalle altre arti: la malefica materia, con cui l’architettura si mette in discussione, contamina e riduce ogni potenziale immateriale.E poi, dato che i conti spesso non tornano quando si ragiona di atomi e di conservazione dell’energia, i filosofi-scienziati se ne inventano di tutti i colori, tanto per rendere magico ciò che non ha speranza di indurre in tentazione. Fino a quando Newton, che la sapeva veramente lunga, intuirà straordinariamente che non esistono materie “occulte” perché invisibili all’occhio umano anche se attrezzato con uno dei pre-tecnologici microscopi alla Hoffmann (si parla dell’enormemente piccolo ovviamente), ma solo fenomeni che ne determinano principi, che poi divengono leggi della natura. E qui è detto tutto!Ma forse per gli architetti l’argomento non è la materia ma le materie, siano esse prime organiche e inorganiche oppure naturali e industriali (sintetiche) dalle quali si elaborano materiali (semilavorati, prodotti finiti, di scarto, di riciclaggio), che a seconda della natura chimico-fisica, prendono la definizione di metallici, plastici, ceramici, composti, ecc. I tentativi di classificazione per origine, proprietà, impiego, prestazione, requisiti, non sono e non saranno mai esaurienti e soddisfacenti, perchè incessanti sono il consumo e la domanda di materie così come risultano in continuo mutamento l’ambito di applicazione, l’assortimento e la capacità di innovazione che si connette ai più svariati processi tecnologici. Ma questa è un’altra storia, che fonda comunque le sue millenarie radici su una sorte di attribuzione maligna e sul riscatto spirituale.

Malefica materia

BALZANI, Marcello
2009

Abstract

La materia è, per definizione, un elemento stabile, tendenzialmente solido e indiscutibilmente permanente della realtà, che identifica in maniera non banale ogni “supporto primario e passivo di qualità sensibili” (Gratton). Interessante appare questa doppia vocazione, che fonda una funzione basica all’espressione di passività della materia in rapporto di percezione, quindi di relazione plurisensoriale. La materia è passiva perché con la materia “si fanno” le cose (case), perché si “agisce sulla materia”, perché non c’è limite di azione. Volendo piegare il significato verso un ambito più connesso alla creazione architettonica si potrebbe ricordare che è materia tutto ciò per mezzo della quale si può realizzare una “forma”, quindi può identificarsi in una causa efficiente (Aristotele), modificando il punto di vista e riducendo alcuni margini di passività. Resta poi da chiedersi se l’idea della forma può essere già insita nella materia e se la materia può in qualche modo condizionare l’azione formale attraverso un potenziale scambio informativo tanto caro a molte avanguardie artistiche del Novecento.La materia, che da sempre viene considerata eterna e indistruttibile, estesa e diffusa, impenetrabile e in movimento (Cartesio) è anche antagonista a quella non-materia (vuoto), che per molto tempo non si pensava neppure potesse esistere; basta ripercorre il Lucrezio del De rerum natura, l’atomismo epicureo e tutta la scuola filosofica di Democrito. Quindi un’esistenza problematica per definizione, non tanto nell’oggettività dei fatti quanto soprattutto nel rapporto con l’intorno e con il contesto, che nega e identifica. Dalla facile considerazione sulla stabilità esistenziale della materia, si è sviluppato un pensiero antichissimo, quello sulla “natura della materia”, che ha sempre richiesto un altro elemento nel binomio che genera gli opposti, fosse la forma, l’energia o (forse più efficacemente) lo spirito. E da qui si entra in uno di quei gironi infernali che fonde ogni materia nel crogiuolo del pensiero filosofico. La materia è malefica, perché se la forma (spirituale) porta verso il bene la materia conduce irrimediabilmente al male (Plotino) e se si pensa alla posizione spirituale di Berkeley, riecheggiata in questo breve testo nella citazione tratta dal relativo quanto illuminate saggio di Jorge Luis Borges in Inquisizioni, la materia non ha esistenza fuori dalla mente che la percepisce. Una posizione di grande fascino che connette a doppio filo ciò che siamo con ciò a cui apparteniamo, su cui l’ironia di un antico quanto diffuso gioco di parole spietatamente abbatte la sua scure: no matter, never mind. Come a dire “non importa, non preoccupatevi” mentre dal rumore di fondo si alza un bisbiglio che dopo poco urla: “niente materia, non più mente”. È un’inadeguatezza, quella che scorre tra materia e spirito, che per l’Architettura sarà sempre risvegliata. Si pensi a come Hegel attribuisca incapacità espressiva (dell’individualità come dell’interiorità spirituale) proprio alla natura non spirituale dei materiali componenti l’architettura, diversamente dalle altre arti: la malefica materia, con cui l’architettura si mette in discussione, contamina e riduce ogni potenziale immateriale.E poi, dato che i conti spesso non tornano quando si ragiona di atomi e di conservazione dell’energia, i filosofi-scienziati se ne inventano di tutti i colori, tanto per rendere magico ciò che non ha speranza di indurre in tentazione. Fino a quando Newton, che la sapeva veramente lunga, intuirà straordinariamente che non esistono materie “occulte” perché invisibili all’occhio umano anche se attrezzato con uno dei pre-tecnologici microscopi alla Hoffmann (si parla dell’enormemente piccolo ovviamente), ma solo fenomeni che ne determinano principi, che poi divengono leggi della natura. E qui è detto tutto!Ma forse per gli architetti l’argomento non è la materia ma le materie, siano esse prime organiche e inorganiche oppure naturali e industriali (sintetiche) dalle quali si elaborano materiali (semilavorati, prodotti finiti, di scarto, di riciclaggio), che a seconda della natura chimico-fisica, prendono la definizione di metallici, plastici, ceramici, composti, ecc. I tentativi di classificazione per origine, proprietà, impiego, prestazione, requisiti, non sono e non saranno mai esaurienti e soddisfacenti, perchè incessanti sono il consumo e la domanda di materie così come risultano in continuo mutamento l’ambito di applicazione, l’assortimento e la capacità di innovazione che si connette ai più svariati processi tecnologici. Ma questa è un’altra storia, che fonda comunque le sue millenarie radici su una sorte di attribuzione maligna e sul riscatto spirituale.
2009
Balzani, Marcello
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