Considerando i tempi è facile immaginare che per molti architetti abituati (ma sarebbe meglio dire condizionati) a credere che “il progettato” e quindi “il costruito” si sviluppi esclusivamente nelle tre dimensioni risulti quanto mai assurdo tentare di concepire il tempo come una dimensione intersecata allo spazio.L’architettura è quadrimensionale e costituisce una delle migliori prove fisiche inconfutabili del tentativo dell’uomo di rappresentare la condizione temporale, non solo immanentemente nel rapporto col presente, ma anche attraverso il pantha rei (che opera non sempre secondo la freccia naturale) nel passato e nel futuro. Ma lasciatemi il tempo di spiegarmi meglio.Prima di tutto è opportuno fare un bel salto indietro e, ricordando il mito, provare a dare un significato alle cose. Quando dalla voragine del caos viene sputata fuori prima la Terra e poi il Cielo la vocazione di quest’ultimo, Urano, è di essere “aderente” a Gea. Un’aderenza che non si limita all’abbraccio ma al possesso di ogni anfratto e di ogni gola. Da questo essere sopra-addosso-ovunque non può che nascere qualcosa, e infatti Gea comincia a partorire dei figli che, tuttavia, non potendo uscire da lei, rimangono prigionieri data la pressione del padre. Solo l’azione evirale di uno dei suoi figli, Kronos, pone fine alla vertiginosa intrecciata e prolifica intersezione. Da quel momento, ovvero dall’attimo dolorosissimo in cui Urano perde i suoi efficienti attributi, si distacca da Gea e va dove ora noi lo vediamo sempre, cioè lassù: il luogo in cui l’azione è quella di guardare e non più di toccare l’amata Terra. Ecco allora crearsi lo spazio tra terra e cielo per cui le cose possono avere un inizio e una fine. Kronos, che nel mito è un Dio (anche divoratore di figli per ricordare che tutto ciò che nasce nel tempo si distrugge nel tempo), ha un ruolo determinante perché crea lo spazio-tempo e permette ad ogni cosa di cominciare a fluire.La fluidità, che apparentemente aiuta a consolidare tante similitudini temporali, pone ovviamente in essere la doppia ambivalenza del tempo: misurabile (con le scansioni più o meno sofisticate della natura e dell’artificio strumentale) e percepibile in una dimensione che è al contempo cronobiologica (ritmi circadiani, infradiani, ultradiani) ed emozionale-intima-psicologia. L’architettura, proprio in quanto appartenente a questa intersezione spazio-temporale, consente di relazionare gli essere umani alla coscienza del tempo in ogni sfaccettatura dimensionale. Pensare al tempo che è contenuto nell’architettura, visualizzarlo non solo nell’efficientismo funzionalista ma anche nel potere di attrazione e di repulsione che lo spazio architettonico produce, potrebbe migliorare i comportamenti, generare positivi orizzonti di aspettative, facilitare il benessere sociale e la qualità della vita individuale.Diversamente le metodologie che hanno prodotto progetto in questo ultimo secolo sono state progressivamente indirizzate a perdere di vista la quarta dimensione e lo spazio-tempo si è contratto, addensato, indurito in noduli e gangli cancerosi infestanti. Insomma i luoghi urbani e le architettura “cronofaghe” (Consonni, Paolucci, Cassian) sono un’esperienza comune che confligge violentemente con il diffuso giudizio di valore che viene attribuito al tempo. È incredibile quanto non interessi al progettista (sia urbanista che architetto) l’azione del tempo poroso (König), che assorbe energie psico-fisiche all’interno della dispersione distributiva e territoriale. Una grave contraddizione (che ormai è generata in malattia cronica) se si pensa che l’architettura è anche quella straordinaria esperienza che permette di salire su un’efficiente macchina del tempo che scorrere avanti ed indietro più volte ponendo domande, confrontando dati, proponendo verifiche e applicando cure dopo calibrate analisi in ogni azione di restauro e di recupero. Quindi, volendo finire il ragionamento ricongiungendo i fili alle parole straordinarie di De Saint-Exupéry, ci si potrebbe chiedere perché in un mondo che fa del tempo “danaro” e che mette sul mercato scientifiche “pillole” per risparmiare tempo, il piccolo principe non rimanga intrappolato nel processo autoalimentante che consuma tempo (e anche spazio); ma, avuta disponibilità di spesa, si conceda di “camminare adagio verso una fontana”: si badi bene non verso “la” fontana (di Trevi o di Trinità dei Monti) ma verso “una” generica fonte. L’architettura è stata sempre quel “luogo” in cui le modalità, i “come”, hanno fatto la differenza! E in un mondo in cui ogni giorno bruciamo nella “fornace del tempo” (Bontempelli) azioni, bisogni, ricordi forse un significato per attribuire valore alla tanto declamata sostenibilità potrebbe essere intravisto per le nostre città in una concreta solidarietà nel tempo (Consonni), per avere altre vite da vivere!

Tempo[rale] sul paesaggio di architetture cronofaghe

BALZANI, Marcello
2009

Abstract

Considerando i tempi è facile immaginare che per molti architetti abituati (ma sarebbe meglio dire condizionati) a credere che “il progettato” e quindi “il costruito” si sviluppi esclusivamente nelle tre dimensioni risulti quanto mai assurdo tentare di concepire il tempo come una dimensione intersecata allo spazio.L’architettura è quadrimensionale e costituisce una delle migliori prove fisiche inconfutabili del tentativo dell’uomo di rappresentare la condizione temporale, non solo immanentemente nel rapporto col presente, ma anche attraverso il pantha rei (che opera non sempre secondo la freccia naturale) nel passato e nel futuro. Ma lasciatemi il tempo di spiegarmi meglio.Prima di tutto è opportuno fare un bel salto indietro e, ricordando il mito, provare a dare un significato alle cose. Quando dalla voragine del caos viene sputata fuori prima la Terra e poi il Cielo la vocazione di quest’ultimo, Urano, è di essere “aderente” a Gea. Un’aderenza che non si limita all’abbraccio ma al possesso di ogni anfratto e di ogni gola. Da questo essere sopra-addosso-ovunque non può che nascere qualcosa, e infatti Gea comincia a partorire dei figli che, tuttavia, non potendo uscire da lei, rimangono prigionieri data la pressione del padre. Solo l’azione evirale di uno dei suoi figli, Kronos, pone fine alla vertiginosa intrecciata e prolifica intersezione. Da quel momento, ovvero dall’attimo dolorosissimo in cui Urano perde i suoi efficienti attributi, si distacca da Gea e va dove ora noi lo vediamo sempre, cioè lassù: il luogo in cui l’azione è quella di guardare e non più di toccare l’amata Terra. Ecco allora crearsi lo spazio tra terra e cielo per cui le cose possono avere un inizio e una fine. Kronos, che nel mito è un Dio (anche divoratore di figli per ricordare che tutto ciò che nasce nel tempo si distrugge nel tempo), ha un ruolo determinante perché crea lo spazio-tempo e permette ad ogni cosa di cominciare a fluire.La fluidità, che apparentemente aiuta a consolidare tante similitudini temporali, pone ovviamente in essere la doppia ambivalenza del tempo: misurabile (con le scansioni più o meno sofisticate della natura e dell’artificio strumentale) e percepibile in una dimensione che è al contempo cronobiologica (ritmi circadiani, infradiani, ultradiani) ed emozionale-intima-psicologia. L’architettura, proprio in quanto appartenente a questa intersezione spazio-temporale, consente di relazionare gli essere umani alla coscienza del tempo in ogni sfaccettatura dimensionale. Pensare al tempo che è contenuto nell’architettura, visualizzarlo non solo nell’efficientismo funzionalista ma anche nel potere di attrazione e di repulsione che lo spazio architettonico produce, potrebbe migliorare i comportamenti, generare positivi orizzonti di aspettative, facilitare il benessere sociale e la qualità della vita individuale.Diversamente le metodologie che hanno prodotto progetto in questo ultimo secolo sono state progressivamente indirizzate a perdere di vista la quarta dimensione e lo spazio-tempo si è contratto, addensato, indurito in noduli e gangli cancerosi infestanti. Insomma i luoghi urbani e le architettura “cronofaghe” (Consonni, Paolucci, Cassian) sono un’esperienza comune che confligge violentemente con il diffuso giudizio di valore che viene attribuito al tempo. È incredibile quanto non interessi al progettista (sia urbanista che architetto) l’azione del tempo poroso (König), che assorbe energie psico-fisiche all’interno della dispersione distributiva e territoriale. Una grave contraddizione (che ormai è generata in malattia cronica) se si pensa che l’architettura è anche quella straordinaria esperienza che permette di salire su un’efficiente macchina del tempo che scorrere avanti ed indietro più volte ponendo domande, confrontando dati, proponendo verifiche e applicando cure dopo calibrate analisi in ogni azione di restauro e di recupero. Quindi, volendo finire il ragionamento ricongiungendo i fili alle parole straordinarie di De Saint-Exupéry, ci si potrebbe chiedere perché in un mondo che fa del tempo “danaro” e che mette sul mercato scientifiche “pillole” per risparmiare tempo, il piccolo principe non rimanga intrappolato nel processo autoalimentante che consuma tempo (e anche spazio); ma, avuta disponibilità di spesa, si conceda di “camminare adagio verso una fontana”: si badi bene non verso “la” fontana (di Trevi o di Trinità dei Monti) ma verso “una” generica fonte. L’architettura è stata sempre quel “luogo” in cui le modalità, i “come”, hanno fatto la differenza! E in un mondo in cui ogni giorno bruciamo nella “fornace del tempo” (Bontempelli) azioni, bisogni, ricordi forse un significato per attribuire valore alla tanto declamata sostenibilità potrebbe essere intravisto per le nostre città in una concreta solidarietà nel tempo (Consonni), per avere altre vite da vivere!
2009
Balzani, Marcello
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