Niente come disegnare case produce nella struttura immaginativa un richiamo a matrici e archetipi fondamentali dello stare su questa terra. E nulla come immaginare e rappresentare la casa, nella sua struttura isolata e familiare (solo per se stessi), costituisce l’aspirazione (antagonista spesso ad una realtà fortemente contrapposta da forzate inserzioni condominiali) più collettivamente diffusa per identificare un’esigenza primaria. Ecco perché, diversamente dagli altri percorsi fino ad ora sviluppati nella ricerca sull’housing, questa volta sento il bisogno di tracciare dei fili di collegamento più ampi ed interdisciplinari, per portare anche al lettore di questo breve saggio, l’informazione di alcune alternative linee di sviluppo che proprio la ricerca sulle case sta invogliando a realizzare. Ho volutamente introdotto l’argomento parlando di volontà di “disegnare” e non di “costruire” case, in quanto nulla come il passaggio realizzativo determina in questo caso un’irrimediabile reductio spirituale della casa di Adamo in Paradiso, del mito nostalgico e creativo dell’abitare, sedimentato in millenni di proiezioni fantastiche tra azioni simboliche e fondatrici (tipiche del fare architettura). In ogni modo, senza incorrere in fatali perturbanti comportamenti critici, è interessante intravedere il rapporto tra reale e irreale (condotto anche da alcune modalità progettuali che si fondano sulla rappresentazione digitale) che in qualche modo costituisce un punto di vista prospettico della condizione contemporanea dell’abitare. Disagio, estraniazione, alterità, disaffezione, insicurezza, portano spesso a delineare fattori ed indicatori ambientali in cui la casa risulta inospitale e potenzialmente infetta, in cui solo continue ed inaspettate (quanto virali) azioni ricombinati offrono forse un’alternativa (evolutiva?) ai risultati diffusi della cubica rappresentazione urbana degli ultimi settant’anni. La dieta del progetto, offerta dal movimento moderno, ha liberato lo spazio delle case, ha ripulito e reso igienico e funzionale lo spazio, ha distillato un’idea di intimità ben lontana dalla dimensione nostalgica e domestica che aveva radicato l’idea di caseità per millenni; e quando nel dopoguerra la critica dell’inabitabilità (Heidegger, Horkheimer, Sedlmayr e Adorno) esplode il filo conduttore della posizione è prima di tutto morfotipologico (modello cubico, prismatico, alveare cementificato, astuccio per immobiliari, ecc.). Un disegno di case in cui la tecnologica o la tecnica prende il sopravvento e anche quando si trova isolata (la casa), rimane sempre senza radici, senza appoggio, senza fondazioni emozionali e anche quando il postmodernismo ha tentato ambiziosamente di “recuperare il passato ha generalmente sostituito i segni della sua assenza e forse, così facendo, ha creato una casa invasa da spettri più reali di quelli che infestano le abitazioni moderniste e, nonostante i suoi sforzi, non più confortante, né stabile”. Ma il tempo passa e forse oggi, davanti al confronto difficile con il progetto del nuovo ed il bisogno (economico) di recuperare e ristrutturare il vecchio, così tanto volumetricamente prodotto negli ultimi cinquant’anni, c’è da chiedersi se c’è ancora una traccia di possibilità espressiva (tanto agognata dai surrealisti proprio nel tentativo di infondere un’attenzione ai bisogni psicologici dell’architettura) e come la dimensione compositiva del progetto possa fungere da collettore di una molteplice ricchezza di nuove stimolazioni. Non è il primitivistico tentativo di ricordare immagini domesticose (più che domestiche) o l’oggettuale e feticistico bisogno di internità che può rendere efficace la comprensione di un trapasso complesso del senso di abitazione urbana, quando piuttosto il profilarsi di un grado di trasformazione che fonde spazio e corpo in una nuova dose di alterità. E’ forse qui che sta il nesso di un processo, intuito nei primi anni del XX secolo dalle avanguardie e solo nel tempo assimilato e sperimentato nella prassi del bisogno consumistico quotidiano: la casa congegno, gadget, strumento, meccanismo si fonde con il corpo clonato, protesico, estraniato, dissolto. Contenitore e contenuto (la Casa e Adamo) sembrano seguire un medesimo metaforico e graduale processo di ibridazione. Il rapporto corporeo definito dalla spazialità (a doppio senso: assenza-presenza) ha sempre condizionato la morfologia dell’abito che ci si mette addosso e che si mostra agli altri. Nella modalità residenziale che “la casa” pone in essere c’è un posto per il corpo che progressivamente perde intimità e tradizione (domestico-borghese) perché continuamente collegato, connesso, ispezionato, cablato. E’ un’auto-sorveglianza (come quella di un componente elettronico fissato alla rete) che rende ogni giorno lo spazio privato sempre più simile allo spazio pubblico e in cui i rituali ed i comportamenti propongono una situazione di condivisione di una meta-para-simil-casa per meta-para-simil-abitanti.

Case e caseità. Un processo di trasformazione dal domestico all’estraniato attraverso il rilievo e la rappresentazione dello spazio costruito contemporaneo

BALZANI, Marcello
2006

Abstract

Niente come disegnare case produce nella struttura immaginativa un richiamo a matrici e archetipi fondamentali dello stare su questa terra. E nulla come immaginare e rappresentare la casa, nella sua struttura isolata e familiare (solo per se stessi), costituisce l’aspirazione (antagonista spesso ad una realtà fortemente contrapposta da forzate inserzioni condominiali) più collettivamente diffusa per identificare un’esigenza primaria. Ecco perché, diversamente dagli altri percorsi fino ad ora sviluppati nella ricerca sull’housing, questa volta sento il bisogno di tracciare dei fili di collegamento più ampi ed interdisciplinari, per portare anche al lettore di questo breve saggio, l’informazione di alcune alternative linee di sviluppo che proprio la ricerca sulle case sta invogliando a realizzare. Ho volutamente introdotto l’argomento parlando di volontà di “disegnare” e non di “costruire” case, in quanto nulla come il passaggio realizzativo determina in questo caso un’irrimediabile reductio spirituale della casa di Adamo in Paradiso, del mito nostalgico e creativo dell’abitare, sedimentato in millenni di proiezioni fantastiche tra azioni simboliche e fondatrici (tipiche del fare architettura). In ogni modo, senza incorrere in fatali perturbanti comportamenti critici, è interessante intravedere il rapporto tra reale e irreale (condotto anche da alcune modalità progettuali che si fondano sulla rappresentazione digitale) che in qualche modo costituisce un punto di vista prospettico della condizione contemporanea dell’abitare. Disagio, estraniazione, alterità, disaffezione, insicurezza, portano spesso a delineare fattori ed indicatori ambientali in cui la casa risulta inospitale e potenzialmente infetta, in cui solo continue ed inaspettate (quanto virali) azioni ricombinati offrono forse un’alternativa (evolutiva?) ai risultati diffusi della cubica rappresentazione urbana degli ultimi settant’anni. La dieta del progetto, offerta dal movimento moderno, ha liberato lo spazio delle case, ha ripulito e reso igienico e funzionale lo spazio, ha distillato un’idea di intimità ben lontana dalla dimensione nostalgica e domestica che aveva radicato l’idea di caseità per millenni; e quando nel dopoguerra la critica dell’inabitabilità (Heidegger, Horkheimer, Sedlmayr e Adorno) esplode il filo conduttore della posizione è prima di tutto morfotipologico (modello cubico, prismatico, alveare cementificato, astuccio per immobiliari, ecc.). Un disegno di case in cui la tecnologica o la tecnica prende il sopravvento e anche quando si trova isolata (la casa), rimane sempre senza radici, senza appoggio, senza fondazioni emozionali e anche quando il postmodernismo ha tentato ambiziosamente di “recuperare il passato ha generalmente sostituito i segni della sua assenza e forse, così facendo, ha creato una casa invasa da spettri più reali di quelli che infestano le abitazioni moderniste e, nonostante i suoi sforzi, non più confortante, né stabile”. Ma il tempo passa e forse oggi, davanti al confronto difficile con il progetto del nuovo ed il bisogno (economico) di recuperare e ristrutturare il vecchio, così tanto volumetricamente prodotto negli ultimi cinquant’anni, c’è da chiedersi se c’è ancora una traccia di possibilità espressiva (tanto agognata dai surrealisti proprio nel tentativo di infondere un’attenzione ai bisogni psicologici dell’architettura) e come la dimensione compositiva del progetto possa fungere da collettore di una molteplice ricchezza di nuove stimolazioni. Non è il primitivistico tentativo di ricordare immagini domesticose (più che domestiche) o l’oggettuale e feticistico bisogno di internità che può rendere efficace la comprensione di un trapasso complesso del senso di abitazione urbana, quando piuttosto il profilarsi di un grado di trasformazione che fonde spazio e corpo in una nuova dose di alterità. E’ forse qui che sta il nesso di un processo, intuito nei primi anni del XX secolo dalle avanguardie e solo nel tempo assimilato e sperimentato nella prassi del bisogno consumistico quotidiano: la casa congegno, gadget, strumento, meccanismo si fonde con il corpo clonato, protesico, estraniato, dissolto. Contenitore e contenuto (la Casa e Adamo) sembrano seguire un medesimo metaforico e graduale processo di ibridazione. Il rapporto corporeo definito dalla spazialità (a doppio senso: assenza-presenza) ha sempre condizionato la morfologia dell’abito che ci si mette addosso e che si mostra agli altri. Nella modalità residenziale che “la casa” pone in essere c’è un posto per il corpo che progressivamente perde intimità e tradizione (domestico-borghese) perché continuamente collegato, connesso, ispezionato, cablato. E’ un’auto-sorveglianza (come quella di un componente elettronico fissato alla rete) che rende ogni giorno lo spazio privato sempre più simile allo spazio pubblico e in cui i rituali ed i comportamenti propongono una situazione di condivisione di una meta-para-simil-casa per meta-para-simil-abitanti.
2006
88.387.3396.1
Housing; rappresentazione architettonica digitale; modellazione 3D; teoria della rappresentazione
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