Non esiste dunque speranza per la trasformazione della città? Certamente che esiste. Basta cercare di prestare ascolto alle possibilità di evoluzione dello spazio urbano, che sono molteplici, pensare ad una forma dello spazio della città che possa creare re-lazioni tra i diversi spazi della città e tra gli spazi stessi ed i cittadini. Per trasformare il salotto di casa poco interessante e magari poco luminoso, pensiamo ad un arredamento confortevole o esteticamente piacevole, dipingiamo le superfici, lo rendiamo più vivo: utilizziamo strumenti emozionali e percettivi di sopperire alla man-canza di vitalità dello spazio architettonico. Ma la città delle persone non è un salotto. La scala della relazione tra le architettu-re non è la medesima scala del progetto architettonico. Oggi è’ chic fare superficiali operazioni di maquillage abbinate a campagne di comuni-cazione, è di moda mettere una bella panchina e un bel paletto, fare spazio a distese di tavolini per bar, pub e ristoranti, pensando che la vitalità di uno spazio sia la condizione irrinunciabile di una sua vivibilità: non esiste alcuna differenza tra que-sti interventi e le costruzioni, prive di qualità dello spazio architettonico, che ci sono proposte con una bella tinta di facciata e insignificanti decorazioni. Ci si pone come falso scopo la riqualificazione di un singolo spazio o luogo, ci si concentra sul-la situazione specifica piuttosto che sulle relazioni tra le diverse situazioni. E’ necessario ricominciare invece a pensare alla tranquillità ed alla quiete degli spa-zi della città, alla relazione tra gli stessi, all’influenza reciproca tra città ed a-bitanti, alla qualità dell’abitare, che è in grado, con il passare del tempo, di rende-re interessanti i luoghi più superficiali: diventa un presidio allo spazio urbano, alla sua conservazione o alla sua modificazione. E’ il cittadino che deve fare la città e non la città che deve trasformare il cittadino.

La città non è un salotto

RINALDI, Andrea
2009

Abstract

Non esiste dunque speranza per la trasformazione della città? Certamente che esiste. Basta cercare di prestare ascolto alle possibilità di evoluzione dello spazio urbano, che sono molteplici, pensare ad una forma dello spazio della città che possa creare re-lazioni tra i diversi spazi della città e tra gli spazi stessi ed i cittadini. Per trasformare il salotto di casa poco interessante e magari poco luminoso, pensiamo ad un arredamento confortevole o esteticamente piacevole, dipingiamo le superfici, lo rendiamo più vivo: utilizziamo strumenti emozionali e percettivi di sopperire alla man-canza di vitalità dello spazio architettonico. Ma la città delle persone non è un salotto. La scala della relazione tra le architettu-re non è la medesima scala del progetto architettonico. Oggi è’ chic fare superficiali operazioni di maquillage abbinate a campagne di comuni-cazione, è di moda mettere una bella panchina e un bel paletto, fare spazio a distese di tavolini per bar, pub e ristoranti, pensando che la vitalità di uno spazio sia la condizione irrinunciabile di una sua vivibilità: non esiste alcuna differenza tra que-sti interventi e le costruzioni, prive di qualità dello spazio architettonico, che ci sono proposte con una bella tinta di facciata e insignificanti decorazioni. Ci si pone come falso scopo la riqualificazione di un singolo spazio o luogo, ci si concentra sul-la situazione specifica piuttosto che sulle relazioni tra le diverse situazioni. E’ necessario ricominciare invece a pensare alla tranquillità ed alla quiete degli spa-zi della città, alla relazione tra gli stessi, all’influenza reciproca tra città ed a-bitanti, alla qualità dell’abitare, che è in grado, con il passare del tempo, di rende-re interessanti i luoghi più superficiali: diventa un presidio allo spazio urbano, alla sua conservazione o alla sua modificazione. E’ il cittadino che deve fare la città e non la città che deve trasformare il cittadino.
2009
Rinaldi, Andrea
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