Definizione, classificazione ed epidemiologia dell’ipovisione Le problematiche riguardanti la qualità della visione risultano, per molteplici motivi, di non facile gestione, sia da un punto di vista clinico che socio-sanitario. La difficoltà nel definire la qualità della visione, come aveva suggerito il Prof. Mario Zingirian nella prefazione ad una monografia della Società Oftalmologica Italiana del 1992, dipende dal fatto che il concetto stesso di visione implica una serie di funzioni sensoriali che divengono parte integrante della nostra capacità visiva. Nel corso della gestione clinica e della riabilitazione del paziente affetto da ipovisione, tali parametri funzionali devono essere esaminati al termine di un adeguato trattamento medico, parachirurgico e/o chirurgico della patologia da cui l’occhio è stato colpito. Distinguiamo quindi: - ipovisione lieve: visus inferiore a 3/10, ma superiore o uguale a 1/10, associata ad un CV inferiore ai 60° centrali, ma superiore ai 20° centrali; - ipovisione grave: visus inferiore a 1/10, ma superiore o uguale a 1/20, associato ad un CV inferiore ai 20° centrali ma superiore ai 10° centrali; - cecità lieve: visus inferiore a 1/20, ma superiore o uguale a 1/50, associata ad un CV inferiore ai 10° centrali, ma superiore ai 5° centrali; - cecità grave: visus inferiore a 1/50, fino alla percezione luce, associata ad un CV inferiore ai 5° centrali; - cecità assoluta: non percezione della luce (Tabella 1). Nel 1980, Colebrander e la stessa WHO/OMS nel documento ICDH-80 definiscono l’ipovisione da un punto di vista riabilitativo e rieducativo, considerandola come uno stato patologico derivante principalmente da tre situazioni: 1. La minorazione visiva, definita come la perdita parziale o completa di specifiche funzioni visive; il danno può aver sede a livello dell’occhio stesso, della trasmissione del messaggio visivo e/o dell’interpretazione corticale. 2. La disabilità che deriva dalla menomazione visiva e consiste nella perdita parziale o completa delle normali capacità funzionali correlate con la visione; tale condizione può riguardare: - la comunicazione non verbale che avviene mediante lo sguardo (l’ipovedente non percepisce la mimica, i sorrisi, etc.), - il comportamento (le difficoltà visive possono provocare passività, aggressività, etc.), - gli spostamenti che diventano spesso difficili o impossibili, specie in ambienti aperti o sconosciuti, - le attività della vita quotidiana (lettura di documenti, corrispondenza, contabilità, preparazione e consumo dei pasti, pulizie domestiche, igiene personale, guida dell’automobile, etc.), - le attitudini alla vita professionale. 3. L’handicap, ovvero l’impedimento che la disabilità comporta ad un individuo nello svolgimento del ruolo che normalmente gli compete per età, sesso, condizioni sociali e culturali; esso dipende dall’interazione tra la disabilità ed il contesto ambientale, insieme a molti altri fattori, quali l’accettazione della propria disabilità e l’aspettativa del singolo individuo. L’handicap è quindi definibile come lo svantaggio sociale e si manifesta sotto i seguenti aspetti: - handicap sociale (isolamento, atteggiamento di rottura con il quotidiano); - handicap psicologico (rifiuto, aggressività, senso di lutto); - handicap affettivo (difficoltà di relazione). Lo scopo finale di un’adeguata gestione clinica e riabilitativa del paziente affetto da ipovisione deve essere rivolto alla conservazione ed ottimizzazione del residuo visivo, consentendo il miglior utilizzo possibile di tale residuo nelle diverse situazioni di visione che l’ipovedente è costretto ad affrontare nell’ambito delle sue attività quotidiane. Categorie di ipovisione In base all’evento patologico che è causa della minorazione visiva ed alla sua eventuale progressione peggiorativa è possibile individuare diverse categorie di ipovisione, cui corrisponderanno tipologie di handicap e necessità riabilitative differenti. In modo schematico, è possibile distinguere: - deficit della visione centrale, non associati a significative alterazioni del capacità visiva periferica (campo visivo), influenzano negativamente soprattutto la lettura, la scrittura, il riconoscimento dei volti e dei dettagli; - deficit della visione periferica, non associati a riduzioni marcate dell’acuità visiva centrale, sono causa di difficoltà specie nell’orientamento e nella mobilità del soggetto ipovedente; - condizioni patologiche nelle quali si manifesta sia un deficit della visione centrale sia di quella periferica (deficit visivo generalizzato). Eziologia dell’ipovisione L’eziologia dell’ipovisione è riconducibile a molteplici patologie; sia da un punto di vista puramente epidemiologico che in funzione della scelta di un adeguato percorso riabilitativo, è opportuno distinguere le cause d’ipovisione dell’età evolutiva (da 0 a 18 anni) da quelle dell’età adulta (dai 19 anni in poi).

PATOLOGIE OCULARI IN RELAZIONE CON LE PROBLEMATICHE DELL’IPOVISIONE

PARMEGGIANI, Francesco;
2002

Abstract

Definizione, classificazione ed epidemiologia dell’ipovisione Le problematiche riguardanti la qualità della visione risultano, per molteplici motivi, di non facile gestione, sia da un punto di vista clinico che socio-sanitario. La difficoltà nel definire la qualità della visione, come aveva suggerito il Prof. Mario Zingirian nella prefazione ad una monografia della Società Oftalmologica Italiana del 1992, dipende dal fatto che il concetto stesso di visione implica una serie di funzioni sensoriali che divengono parte integrante della nostra capacità visiva. Nel corso della gestione clinica e della riabilitazione del paziente affetto da ipovisione, tali parametri funzionali devono essere esaminati al termine di un adeguato trattamento medico, parachirurgico e/o chirurgico della patologia da cui l’occhio è stato colpito. Distinguiamo quindi: - ipovisione lieve: visus inferiore a 3/10, ma superiore o uguale a 1/10, associata ad un CV inferiore ai 60° centrali, ma superiore ai 20° centrali; - ipovisione grave: visus inferiore a 1/10, ma superiore o uguale a 1/20, associato ad un CV inferiore ai 20° centrali ma superiore ai 10° centrali; - cecità lieve: visus inferiore a 1/20, ma superiore o uguale a 1/50, associata ad un CV inferiore ai 10° centrali, ma superiore ai 5° centrali; - cecità grave: visus inferiore a 1/50, fino alla percezione luce, associata ad un CV inferiore ai 5° centrali; - cecità assoluta: non percezione della luce (Tabella 1). Nel 1980, Colebrander e la stessa WHO/OMS nel documento ICDH-80 definiscono l’ipovisione da un punto di vista riabilitativo e rieducativo, considerandola come uno stato patologico derivante principalmente da tre situazioni: 1. La minorazione visiva, definita come la perdita parziale o completa di specifiche funzioni visive; il danno può aver sede a livello dell’occhio stesso, della trasmissione del messaggio visivo e/o dell’interpretazione corticale. 2. La disabilità che deriva dalla menomazione visiva e consiste nella perdita parziale o completa delle normali capacità funzionali correlate con la visione; tale condizione può riguardare: - la comunicazione non verbale che avviene mediante lo sguardo (l’ipovedente non percepisce la mimica, i sorrisi, etc.), - il comportamento (le difficoltà visive possono provocare passività, aggressività, etc.), - gli spostamenti che diventano spesso difficili o impossibili, specie in ambienti aperti o sconosciuti, - le attività della vita quotidiana (lettura di documenti, corrispondenza, contabilità, preparazione e consumo dei pasti, pulizie domestiche, igiene personale, guida dell’automobile, etc.), - le attitudini alla vita professionale. 3. L’handicap, ovvero l’impedimento che la disabilità comporta ad un individuo nello svolgimento del ruolo che normalmente gli compete per età, sesso, condizioni sociali e culturali; esso dipende dall’interazione tra la disabilità ed il contesto ambientale, insieme a molti altri fattori, quali l’accettazione della propria disabilità e l’aspettativa del singolo individuo. L’handicap è quindi definibile come lo svantaggio sociale e si manifesta sotto i seguenti aspetti: - handicap sociale (isolamento, atteggiamento di rottura con il quotidiano); - handicap psicologico (rifiuto, aggressività, senso di lutto); - handicap affettivo (difficoltà di relazione). Lo scopo finale di un’adeguata gestione clinica e riabilitativa del paziente affetto da ipovisione deve essere rivolto alla conservazione ed ottimizzazione del residuo visivo, consentendo il miglior utilizzo possibile di tale residuo nelle diverse situazioni di visione che l’ipovedente è costretto ad affrontare nell’ambito delle sue attività quotidiane. Categorie di ipovisione In base all’evento patologico che è causa della minorazione visiva ed alla sua eventuale progressione peggiorativa è possibile individuare diverse categorie di ipovisione, cui corrisponderanno tipologie di handicap e necessità riabilitative differenti. In modo schematico, è possibile distinguere: - deficit della visione centrale, non associati a significative alterazioni del capacità visiva periferica (campo visivo), influenzano negativamente soprattutto la lettura, la scrittura, il riconoscimento dei volti e dei dettagli; - deficit della visione periferica, non associati a riduzioni marcate dell’acuità visiva centrale, sono causa di difficoltà specie nell’orientamento e nella mobilità del soggetto ipovedente; - condizioni patologiche nelle quali si manifesta sia un deficit della visione centrale sia di quella periferica (deficit visivo generalizzato). Eziologia dell’ipovisione L’eziologia dell’ipovisione è riconducibile a molteplici patologie; sia da un punto di vista puramente epidemiologico che in funzione della scelta di un adeguato percorso riabilitativo, è opportuno distinguere le cause d’ipovisione dell’età evolutiva (da 0 a 18 anni) da quelle dell’età adulta (dai 19 anni in poi).
2002
9788887333633
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