Volendo tracciare alcune considerazioni a margine di questo saggio dedicato ad "Amate l’architettura" di Gio Ponti, che si rivela come uno dei testi di teoria del progetto più interessanti e dimenticati dell’architettura italiana del dopoguerra, si evidenzia che l’attualità di questo libro consista in particolare nelle forme e nelle tecniche della comunicazione in esso utilizzate. Che attraverso di esso sia possibile prefigurare una teoria dell’architettura, tramite uno studio più approfondito ed un esame critico comparato delle opere e degli scritti di Gio Ponti, è tutto da dimostrare. Come per altri protagonisti del pensiero architettonico italiano dal dopoguerra ad oggi, questo testo non giunge infatti a codificare una teoria dell’architettura, ma costruisce semmai una teoria del progetto, un orizzonte metodologico che ancor oggi può indicare alcuni riferimenti utili per la disciplina della composizione architettonica e per il suo insegnamento. Al di là dei giudizi di merito inevitabilmente diversi nei confronti di questo testo, "Amate l’architettura" è in ogni caso un libro che lascia una tangibile mappa del percorso svolto da chi ha tentato di tenere insieme, in una difficile e problematica unità, quelle quattro dimensioni che caratterizzano l’operare di alcuni architetti che hanno segnato il loro tempo: scrivere, progettare, costruire e insegnare. L’immagine che emerge da questa esplorazione credo riveli qualcosa di più della figura di “architetto di interni” nella quale Gio Ponti era prevalentemente costretto e relegato, almeno fino alla pubblicazione degli studi a lui dedicati negli ultimi anni. L’uso cosciente e sistematico della contraddizione e della doppia verità, come procedimento discorsivo e insieme del ragionamento progettuale di Gio Ponti, definisce i limiti di un rapporto tra storia e progetto nel quale emergono categorie di valore che presentano sensibili analogie con un concetto del tempo e della storia che è segnato da una radicale attualizzazione, come è possibile rilevare ad esempio nelle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin. Dal momento in cui il rapporto tra forma e contenuto dell’elemento architettonico diventa polisenso, nel discorso metodologico di Ponti, non solo caratterizzando l’espressione dell’uso dell’edificio ma rivelando alcuni dei princìpi formativi alla base del processo progettuale, la prova del tempo e della durata assume un ruolo centrale nel determinare e orientare i giudizi di valore, così come l’antico appare sempre più chiaramente come uno stato dell’architettura attraverso il quale è spesso possibile ricostruire i princìpi formativi che la originarono. È possibile dunque, sulla base di queste considerazioni, delineare l'ipotesi che la particolare declinazione del rapporto tra antico e moderno sia uno dei tratti peculiari della riflessione teorica italiana di questo secolo, vera e propria categoria del pensiero in grado di costituire un’autonoma posizione italiana nei confronti del Movimento Moderno? La risposta che ci sembra suggerita dai molti passaggi di questo libro dedicati a tale tema va in questo senso, ed è forse verso altre direzioni –ad esempio nelle opere e negli scritti di Giovanni Muzio, Gio Ponti, Piero Bottoni, il Gruppo 7– che va ricercato il senso di questa linea di indagine teorica. Senza con ciò voler nulla togliere al fondamentale contributo di Ernesto Nathan Rogers, il quale ha avuto il merito di sistematizzare un patrimonio di studi e ricerche che si era sviluppato in Italia a partire dagli anni venti, creando gruppi di lavoro ed un intero movimento di pensiero che poi ha preso varie direzioni, lungo un percorso ideale che conduce fino alle riflessioni di Aldo Rossi.

Parlando "per interposte immagini". Questioni di forma e contenuto da "Amate l'architettura" di Gio Ponti (1957)

MASSARENTE, Alessandro
2001

Abstract

Volendo tracciare alcune considerazioni a margine di questo saggio dedicato ad "Amate l’architettura" di Gio Ponti, che si rivela come uno dei testi di teoria del progetto più interessanti e dimenticati dell’architettura italiana del dopoguerra, si evidenzia che l’attualità di questo libro consista in particolare nelle forme e nelle tecniche della comunicazione in esso utilizzate. Che attraverso di esso sia possibile prefigurare una teoria dell’architettura, tramite uno studio più approfondito ed un esame critico comparato delle opere e degli scritti di Gio Ponti, è tutto da dimostrare. Come per altri protagonisti del pensiero architettonico italiano dal dopoguerra ad oggi, questo testo non giunge infatti a codificare una teoria dell’architettura, ma costruisce semmai una teoria del progetto, un orizzonte metodologico che ancor oggi può indicare alcuni riferimenti utili per la disciplina della composizione architettonica e per il suo insegnamento. Al di là dei giudizi di merito inevitabilmente diversi nei confronti di questo testo, "Amate l’architettura" è in ogni caso un libro che lascia una tangibile mappa del percorso svolto da chi ha tentato di tenere insieme, in una difficile e problematica unità, quelle quattro dimensioni che caratterizzano l’operare di alcuni architetti che hanno segnato il loro tempo: scrivere, progettare, costruire e insegnare. L’immagine che emerge da questa esplorazione credo riveli qualcosa di più della figura di “architetto di interni” nella quale Gio Ponti era prevalentemente costretto e relegato, almeno fino alla pubblicazione degli studi a lui dedicati negli ultimi anni. L’uso cosciente e sistematico della contraddizione e della doppia verità, come procedimento discorsivo e insieme del ragionamento progettuale di Gio Ponti, definisce i limiti di un rapporto tra storia e progetto nel quale emergono categorie di valore che presentano sensibili analogie con un concetto del tempo e della storia che è segnato da una radicale attualizzazione, come è possibile rilevare ad esempio nelle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin. Dal momento in cui il rapporto tra forma e contenuto dell’elemento architettonico diventa polisenso, nel discorso metodologico di Ponti, non solo caratterizzando l’espressione dell’uso dell’edificio ma rivelando alcuni dei princìpi formativi alla base del processo progettuale, la prova del tempo e della durata assume un ruolo centrale nel determinare e orientare i giudizi di valore, così come l’antico appare sempre più chiaramente come uno stato dell’architettura attraverso il quale è spesso possibile ricostruire i princìpi formativi che la originarono. È possibile dunque, sulla base di queste considerazioni, delineare l'ipotesi che la particolare declinazione del rapporto tra antico e moderno sia uno dei tratti peculiari della riflessione teorica italiana di questo secolo, vera e propria categoria del pensiero in grado di costituire un’autonoma posizione italiana nei confronti del Movimento Moderno? La risposta che ci sembra suggerita dai molti passaggi di questo libro dedicati a tale tema va in questo senso, ed è forse verso altre direzioni –ad esempio nelle opere e negli scritti di Giovanni Muzio, Gio Ponti, Piero Bottoni, il Gruppo 7– che va ricercato il senso di questa linea di indagine teorica. Senza con ciò voler nulla togliere al fondamentale contributo di Ernesto Nathan Rogers, il quale ha avuto il merito di sistematizzare un patrimonio di studi e ricerche che si era sviluppato in Italia a partire dagli anni venti, creando gruppi di lavoro ed un intero movimento di pensiero che poi ha preso varie direzioni, lungo un percorso ideale che conduce fino alle riflessioni di Aldo Rossi.
2001
887750630X
architettura; testo; teoria; metodologia; storia e progetto; forma e contenuto; antico e moderno
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